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2 Giugno. La Costituzione e le Madri costituenti (parte prima)

di Sara Marsico

 L’articolo che segue è il testo letto dall’autrice in occasione della consegna, da parte del Comune, della copia della Costituzione alle diciottenni e ai diciottenni in occasione del 2 giugno. La cerimonia è avvenuta nel cortile d’Onore del castello mediceo

Il 2 giugno non è una data scelta a caso per la consegna delle copie della Costituzione ai diciottenni. Col compimento del diciottesimo anno di età si diventa cittadine e cittadini a pieno titolo perché si può finalmente contribuire ad eleggere chi ci rappresenterà.

Senza diritto di voto si è tenuti a rispettare le leggi ma non si può contribuire a realizzarle. Un po’ come accadeva alle donne italiane fino al 2 giugno del 1946, quando per la prima volta esercitarono il loro diritto di voto nel referendum Monarchia Repubblica e nell’elezione dell’Assemblea Costituente. All’Assemblea Costituente incaricata di scrivere la nostra Costituzione su 556 membri sapete quante erano le donne? Erano 21 le Madri della Repubblica ed è di loro e del loro contributo alla Carta fondamentale del nostro Stato che oggi vi voglio parlare.

Si parla poco di loro nei libri di storia e diritto, forse si comincerà a farlo nei prossimi anni, grazie all’introduzione dell’educazione civica come materia obbligatoria all’interno delle scuole di ogni ordine e grado, l’educazione civica, appunto, il sogno di un grande Padre della Costituzione, Aldo Moro, purtroppo noto più per essere stato una vittima del terrorismo che per la legge sull’insegnamento dell’educazione civica del 1959 che porta la sua firma.

Lo studio della Costituzione, quindi, è potuto mancare nella formazione delle e degli studenti italiani, anche di quelli che raggiungevano i massimi gradi di istruzione, e le conseguenze di questa mancanza di conoscenza dei principi che sono alla base della nostra convivenza e del nostro rapporto con lo Stato sono sotto gli occhi di tutti.

Se chiedete a qualcuno di ricordare i nomi di qualche donna eletta alla Costituente difficilmente riuscirà a rispondervi, mentre di qualche Padre Costituente sarà più facile ricordare il nome.

Per porre rimedio a questa grave mancanza e per fare un’opera di giustizia riparatrice questa mattina abbiamo intitolato i Giardini di Via dei Tigli, confinanti con la sede dell’istituto Benini in cui insegno, a Teresa Mattei, la più giovane delle Madri Costituenti.

Ed io oggi voglio ricordare il contributo di queste Madri alla nostra Costituzione, citandole per nome: Maria Agamben, Adele Bei, Bianca Bianchi, che fu eletta alla Costituente con il doppio dei voti del capolista di allora, Sandro Pertini, che poi sarebbe diventato Presidente della Repubblica; Laura Bianchini.

Erano un piccolo drappello di donne che per la prima volta portava il pensiero e le voci femminili nelle aule parlamentari. Una minoranza guardata con paternalismo, nella migliore delle ipotesi, o con sguardi e battute irridenti dai navigati politici di allora, abili oratori abituati a parlare in pubblico con discorsi altisonanti.

La stampa, quando parlava delle Costituenti, si dedicava alla descrizione accurata dei vestiti che indossavano, ma non si soffermava sui loro titoli e sulle loro competenze, come faceva per gli uomini. Non è cambiato granché a questo proposito quando si parla di donne in politica. Fateci caso, come se le donne fossero degne di attenzione solo o prevalentemente per i loro corpi, e non per le loro menti.

Eppure, quattordici di loro erano laureate, molte insegnanti, due giornaliste, una sindacalista e una casalinga. Ricordo altri nomi: Maria de Unterrichter, Elisabetta Conci, Nadia Gallico Spano, Vittoria Titomanlio.

Molte di loro erano antifasciste, avevano fatto la Resistenza, come Teresa Mattei, della Brigata Garibaldi che oggi abbiamo ricordato con il Coro dell’Anpi, qualcuna era stata incarcerata, torturata, deportata.

Su di loro pesavano aspettative e diffidenze: non parlavano solo in nome dei partiti, ma anche in nome delle donne, rappresentando istanze ‘trasversali’ a gruppi e programmi politici.

In tempi in cui le donne erano sottoposte alla patria potestà, alla potestà maritale, non accedevano a molti ruoli della pubblica amministrazione e la disparità salariale era sancita dalla legge, le deputate si battevano per il diritto a pari opportunità e l’uguaglianza tra i sessi, a casa, in famiglia e nel lavoro.

Portano la loro impronta l’articolo 3 della Costituzione, che disciplina il principio di uguaglianza, l’articolo 29 che riconosce l’uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi, l’articolo 30 che tutela i figli nati al di fuori del matrimonio, l’articolo 37 che tutela il lavoro delle donne e dei minori, l’articolo 51 che garantisce alle donne l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive.

Provate a pensare come dovevano sentirsi queste donne nelle aule parlamentari e nelle sottocommissioni a cui parteciparono, come fu difficile per loro prendere la parola in pubblico, quando alle donne era sempre stato riservato un ruolo all’interno della famiglia, nel privato, mentre la sfera pubblica era da sempre riconosciuta agli uomini.

Eppure è a Lina Merlin, socialista, che dobbiamo la scelta di inserire, nell’articolo 3 della nostra Costituzione, dedicato al principio di uguaglianza, uno dei principi cardine della nostra Costituzione, il sesso come la prima tra le discriminazioni da evitare, per mettere in luce come nei secoli la prima discriminazione è stata ed è sempre e in ogni luogo quella nei confronti del genere femminile, ancora oggi.

Dobbiamo a Teresa Mattei l’inserimento di due paroline semplici, ma fondamentali, le parole “di fatto” nella seconda parte dell’articolo 3, dedicata al principio di uguaglianza sostanziale, in cui si afferma che l’uguaglianza formale non basta, che per realizzare le pari opportunità c’è bisogno di un intervento della Repubblica che rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale che,  di fatto, cioè nella realtà economico sociale da cui si proviene,  limitano la libertà e l’uguaglianza e che tali ostacoli vanno rimossi per fare in modo che a ciascuno e ciascuna di noi sia consentito il pieno sviluppo della propria persona.

Sapete, nella dichiarazione di indipendenza che precede la Costituzione americana è sancito il diritto alla felicità. Noi non abbiamo avuto questa presunzione, non abbiamo inserito il diritto alla felicità nella Costituzione, ma a ben guardare il diritto alla felicità, inteso come piena esplicazione delle proprie potenzialità, per tutte e tutti, è proprio quel pieno sviluppo della persona umana che la Costituzione prevede per noi nell’articolo 3 secondo comma, assegnando alla Repubblica il potere di effettuare discriminazioni ragionevoli nei confronti delle persone svantaggiate nella società, in primo luogo nei confronti delle persone discriminate per ragioni di appartenenza ad un genere, quello femminile, in modo che possano dare come persone realizzate e felici il loro contributo al progresso materiale e spirituale della società (articolo 4).

Provate a pensare se non ci fossero state le donne nelle aule della Costituente: forse questo articolo non sarebbe stato formulato così, perché ci voleva il loro sguardo per fare entrare il pensiero femminile nella Costituzione.

Il contributo delle donne alla Costituente ci fu anche nella parte riguardante la famiglia. Secondo l’articolo 29 della Costituzione il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza “morale” e giuridica dei coniugi.

Pensate a quanto erano state anticipatrici dei tempi le nostre Costituenti di cui ricordiamo altri nomi: Angela Gotelli, Angela Milella, Nilde Iotti, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Nicotra.

Ma la piena uguaglianza all’interno della famiglia tra uomini e donne attendeva una legge che la attuasse, modificando il codice fascista del 1942, che descriveva la donna come soggetta alla patria potestà e alla potestà maritale e secondo cui la donna che si sposava perdeva il proprio cognome.

Ci vollero 27 anni perché la piena parità all’interno della famiglia fosse affermata, con l’eliminazione della potestà maritale sulla moglie e la sostituzione della patria potestà con la potestà dei genitori, oggi a sua volta aggiornata da una legge del 2012 con la responsabilità genitoriale, più in linea con i principi democratici e il carattere mite della nostra Costituzione. Nonostante la proclamazione dell’uguaglianza morale della donna spesso nelle relazioni, coniugali e di fatto, l’uomo mostra ancora di considerare la donna come una sua proprietà, arrivando ad atti di violenza fisica e sessuale (nei secoli ritenuti quasi legittimi, data la dichiarata inferiorità morale della donna) che troppo spesso degenerano ancora in femminicidi (e c’è ancora qualcuno a cui questo termine dà fastidio).

Una grande attenzione fu riservata ai diritti e doveri di entrambi i genitori di educare, istruire e mantenere i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.

La piena uguaglianza dei figli cosiddetti illegittimi si è però raggiunta soltanto con la legge del 2013.

Mi piace ricordare le parole di Teresa Mattei che spiegano molto bene la difficoltà del percorso di parità appena intrapreso: «Perciò noi affermiamo oggi che, pur riconoscendo come grande conquista la dichiarazione costituzionale, questa non ci basta. Le donne italiane desiderano qualche cosa di più esplicito e concreto che le aiuti a muovere i primi passi verso la parità di fatto, in ogni sfera, economica, politica e sociale, della vita nazionale».

In apertura, l’intitolazione a Teresa Mattei dei Giardini di via dei Tigli

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