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8 marzo 2021. Donne, ai fornelli!

di Roberto Silvestri

L’8 marzo a molte donne era concesso di non cucinare, il loro compagno le portava al ristorante. Quest’anno, a causa del coprifuoco…niente, anche l’8 marzo cucina!

In cucina, perché alle donne è stato da sempre affidato il compito, tra molti altri, di far mangiare la famiglia.

Una cosa però stupisce pensando all’accoppiata donne-cucina: come mai tutti gli chef famosi sono maschi? Come è possibile che proprio il genere a cui da secoli è riconosciuto il ruolo di nutrire non abbia spazio quando questa attività da privata diviene pubblica?

Per provare a dare una risposta facciamo un salto nel passato.

E scopriamo che già nell’antichità i compiti tra i generi erano suddivisi, agli uomini la caccia e i lavori lontano da casa, alla donna tutto il resto: la cura dei figli, la gestione della cucina e della casa, la coltivazione dell’orto, l’allevamento degli animali da cortile. In sostanza, all’uomo i lavori che avrebbero prodotto il reddito familiare, alla donna quelli, gratuiti, della cura della famiglia.

La suddivisione dei ruoli vale anche nelle cucine; mentre la donna, nutrice, rimane davanti ai fuochi di casa, gli uomini, i cuochi, entrano nelle cucine dei palazzi.

Già nell’antica Grecia e a Roma nelle cucine patrizie ci sono cuochi reclutati al mercato (i cuochi erranti), o assunti, oppure schiavi. Alcuni erano famosi, i loro nomi e l’indicazione della specialità in cui eccellevano sono giunti fino a noi.

Naturalmente anche alcune donne erano costrette a lavorare ma a loro era interdetta l’entrata nelle cucine dei palazzi. Quella che per l’uomo è una libera scelta, cucinare, per le donne è un dovere e questo fatto rende la loro attività poco apprezzabile.

Ma, soprattutto, all’origine dei questa assenza troviamo un pregiudizio. La mia è una interpretazione arbitraria, nessuno dei testi dell’epoca lo spiega, ma bisogna considerare che i libri erano scritti da uomini e la questione femminile non era cosa di interesse comune, salvo che per i filosofi, ai quali, comunque, i pregiudizi non mancavano.

Scrive Platone in La repubblica:

Dobbiamo dilungarci a parlare della tessitura e della preparazione di focacce e dolci, in cui sembra che il sesso femminile valga qualcosa, e in cui sarebbe sommamente ridicolo che venisse sconfitto?» «Hai ragione», rispose, «ad affermare che il sesso femminile è di gran lunga inferiore all’altro quasi in tutto. Certo, molte donne sono migliori di molti uomini sotto molti aspetti, ma nel complesso è come dici tu».

A parte questa valutazione sulle capacità delle donne, alcune pratiche gastronomiche sono a loro vietate, ad esempio la macellazione e la macinazione delle carni.

Una traccia di questi pregiudizi la troviamo anche in età moderna, in un testo del 1644 scritto da Vincenzo Tanara L’economia del cittadino in villa: Le donne in cucina strapazzano il mestiere, sono sciupone se non ladre, non sono in grado di gestire le emergenze e non sono ammaestrabili. Le donne non possono pigiare l’uva né fare il formaggio, che altrimenti uscirà deteriore e tristo.

Una donna menstruata può essere rimedio contro le Ruche (un parassita che attacca le piante) falla camminare avanti il nascer del Sole, con piedi scalzi, che subito le Ruche cadono. […] Ma se questa Donna in tale stato aspetterà il nascer del Sole, col far cadere le Ruche farà ancor morire le stesse piante.

Fino alla sentenza lapidaria: È più netto il più sporco Huomo, che la più polita Donna

Quella della sporcizia, dell’impurità del cibo genera timore, ci ricorda Madeleine Ferrières in Storia delle paure alimentari, 

… secondo una credenza molto radicata lo sono [impure] tutte le donne, in certi periodi del mese. In quei giorni, la loro presenza, il loro contatto e il loro alito possono provocare nella cantina o il salatoio delle catastrofi alimentari: «Se si volesse ammazzare il maiale, non lo si ammazzi quel giorno, perché tutta la carne andrebbe a male». la lista dei malefici femminili è piuttosto lunga. […] La donna cristiana è impura, in certi giorni, e allora deve raddoppiare le precauzioni nel contatto con gli alimenti, se non evitarlo del tutto.

Nonostante questi pregiudizi, la cucina delle classi popolari, dunque la cucina delle donne, ha contaminato la cucina borghese che selezionava tecniche e ricette e le rimpastava per adattarle al palato dei nobili; cambiavano gli ingredienti e questi piatti entravano a far parte del patrimonio di conoscenza dei grandi cuochi. E approdavano sui libri di cucina.

Questa osmosi funzionava anche in senso inverso, come ricorda Alberto Capatti, storico dell’alimentazione. Le due cucine si intrecciavano e un ruolo importante della gastronomia al femminile lo ha certamente avuto la cucina dei conventi, di cui abbiamo qualche traccia scritta, come le 170 ricette annotate da Suor Maria Vittoria Verde tra il 1583 ed il 1607.

Per il resto, i libri di cucina sono scritti da uomini per uomini, e se entra qualche ricetta delle femminee genti è solo attraverso la mediazione maschile, che le adatta  per i cuochi di palazzo. Le donne si tramandano le ricette di famiglia oralmente, quando le scrivono lo fanno su quaderni e non pubblicano libri. Nella seconda metà del ‘700 escono alcuni libri con la parola cuciniera nel titolo, anche questi scritti da uomini.

La società si evolve la borghesia conquista un suo posto d’onore alla mensa sociale. Non ci sono più solo i nobili a cui offrire i propri servigi gastronomici e, quando non era possibile assumere un uomo, qualche donna entra nelle cucine signorili.

Anche la comunicazione libraria deve quindi cambiar tono, non più scambio tra di conoscenze tra cuochi ma istruzioni per le massaie borghesi che devono governare la casa e quindi anche la cucina.

In Italia, un libro su tutti guida questa rivoluzione, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi pubblicato nella prima edizione nel 1891.

È una svolta, cambia il pubblico e cambia il linguaggio, che tra l’altro diventerà un veicolo per far imparare una lingua straniera a persone che parlavano in dialetto.

Sono ricette scritte dalle donne per le donne. L’Artusi le raccoglie da tutta Italia, gliele mandano signore dell’alta società e umili casalinghe, scrivono anche uomini ma raccontano i piatti che si mangiano nelle loro case, i piatti delle loro nutrici.

 

Sull’onda del successo della Scienza in cucina crescono come funghi manuali e ricettari destinati alle donne, poi arrivano le riviste di cucina e, con l’avanzare della tecnologia, i blog.

Molte degli autori sono donne, che finalmente sembrano conquistare un posto di rilievo nel panorama gastronomico.

Ma non è così. La cucina dei grandi ristoranti resta saldamente in mani maschili.

Con la Rivoluzione francese molti cuochi uscirono dalle cucine dei nobili e aprirono ristoranti. L’organizzazione delle attività in cucina è quindi di taglio maschile.

Ancora oggi l’organizzazione è quella ideata da Escoffier, in passato fu cuoco militare, impose in cucina una rigida struttura gerarchica derivata, anche nei nomi, dall’esercito: in cucina opera una brigata guidata da un Capo, chef in francese, che comanda sui capi partita, ognuno responsabile di un settore della cucina.

In questo ambiente mal si inseriscono le cuoche.

In più, gli chef difendono la loro posizione di rendita e rispolverano i pregiudizi. Questo un piccolo campionario raccolto da Lorenza Fumelli su Dissapore

Il mestiere è duro, la donna è fisicamente più debole, non è autosufficiente, rallenta il lavoro, crea disagio a una brigata di uomini, non va d’accordo con le altre donne perché è competitiva, egocentrica, gelosa, è tendenzialmente isterica, mediamente permalosa e ha il ciclo mestruale, non ha la stoffa per essere un buon leader, resta incinta, si ammala spesso, ha una bassa tolleranza al dolore fisico e si lamenta, non è sufficientemente creativa, crea scompiglio in cucina, non ha la stessa verve degli uomini. E non sa usare i coltelli.

Questo il pensiero di alcuni chef, anche tra i più famosi, che ammettono però che le donne sono brave pasticcere, sempre defilate quindi.

Dobbiamo quindi stupirci se solo il 4% degli chef tri-stellati sono donne?

In Italia abbiamo un numero interessante, delle 130 cuoche stellate al mondo ben 40 sono italiane, non basta però. Bisogna cambiare mentalità, anche in cucina e non solo tra gli uomini.

Ho assistito ad un convegno di donne chef, la cosa che più mi ha colpito è che alcune, non tutte per fortuna, giustificavano la scarsa presenza femminile usando le generalizzazioni dei loro colleghi uomini.

Ha ragione Cinzia Scaffidi, giornalista e scrittrice, non bisogna fare la guerra ai cuochi maschi, ma la rivoluzione culturale. Anche tra le donne.

Immagine di copertina: Vincenzo  Campi Cucina, foto di Dimitris Vetsikas da Pixabay

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