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8 Marzo. Diritti, non quote rosa

di Valentina Cannavò

Ha ancora senso nel 2021 parlare e celebrare la Giornata internazionale della donna l’8 di marzo?

Sarebbe bello rispondere “no, non ha alcun senso”, ma purtroppo la realtà è ben diversa.

In questa giornata allora è bene che si sottolineino alcune questioni legate alle discriminazioni che molte, troppe donne sono costrette a vivere.

La crisi economica e sanitaria che stiamo vivendo ha evidenziato che il mondo ancora non funziona come ci piacerebbe in termini di parità.

Le principali vittime della pandemia, infatti, sono le donne che si sono trovate a far fronte a un enorme carico economico, psicologico e di cura.

La pandemia da Coronavirus che ha colpito il mondo rende ancora più evidente come sia necessario ripensare e riprogettare alcune questioni che riguardano soprattutto il rapporto delle donne con il mondo del lavoro.

Dall’indagine Ipsos condotta per weworld.onlus, emerge che ad essere state maggiormente colpite dalla recente crisi economica sono le donne. Una donna su due in Italia, infatti, ha visto peggiorare la propria situazione economica, sia nel Nord, sia nel Centro che nel Sud. In pratica, la crisi ha unito la penisola.

Il 60% delle donne non occupate con figli dichiara di aver avuto, durante la pandemia, una riduzione di almeno il 20% delle proprie entrate economiche con il pericolosissimo effetto di averle rese, in modo molto superiore rispetto al passato, dipendenti da famiglia e partner.

Tre donne su 10, non occupate e con figli, hanno rinunciato a cercare lavoro a causa del Covid. Il 38% delle donne dichiara di non poter sostenere una spesa imprevista, quota che sale al 46% tra le madri con figli. Il 50% delle donne, inoltre, ha affermato di temere di perdere il lavoro.

Fin qui solo alcune delle conseguenze economiche che hanno investito le donne in Italia nell’ultimo anno. A tutto ciò è necessario aggiungere il carico famigliare che una donna deve sostenere. Il lavoro di cura è quasi interamente sulle nostre spalle e, nonostante gli aiuti famigliari elargiti dopo il primo lockdown, il 38% delle donne dichiara di farsi carico da sola di persone non autonome, siano esse anziani, bambini o persone con fragilità.

Le conseguenze della pandemia sono però anche di tipo psicologico se consideriamo che l’80% delle donne dichiara di aver subìto un impatto devastante sulle proprie relazioni sociali e il 46% afferma di aver visto diminuire la propria voglia di vivere.

Purtroppo il dibattito intorno alla questione femminile, invece che concentrarsi su questi dati davvero allarmanti, si limita a ruotare esclusivamente intorno al numero di donne che ricoprono ruoli di primo piano in politica, nelle aziende e nella società.

Nelle ultime settimane i giornali e le televisioni sono stati invasi da considerazioni stucchevoli e deprimenti sul numero di donne a cui sono stati affidati dei ruoli nel neonato governo guidato da Mario Draghi.

La sensazione è che in questo caso le donne siano state strumentalizzate, soprattutto a sinistra, per nascondere e per celare una questione ben più grave ovvero quella della nascita di un esecutivo che ha riportato al governo partiti e personaggi che non hanno mai dimostrato di avere particolarmente a cuore la questione femminile. E forse, in generale, questioni come diritti e uguaglianza.

Davvero l’applicazione delle cosiddette quote rosa può rendere la condizione delle donne meno difficile? Il fatto stesso che una donna debba essere chiamata a ricoprire un ruolo all’interno delle istituzioni solo perché donna, e non in quanto persona competente, rende inutili tutte le conquiste che pensavamo di aver fatto. Una donna può e deve avere le stesse possibilità di un uomo di diventare ministro o sottosegretario (o meglio ministra o sottosegretaria), ma solo per le sue capacità e non in quanto minoranza a cui dare una qualche rappresentanza.

Chiaramente questo cambio di mentalità deve essere accompagnato da politiche di welfare serie che non facciano ricadere sulle famiglie, e quindi sulle donne, la cura dei più fragili siano essi i figli o i genitori anziani. Sono necessarie politiche di sostegno al reddito, congedi parentali per gli uomini, parità salariale e riduzione dei tempi di lavoro. È davvero utopia questa?

E allora sogno un futuro in cui l’8 marzo non sia più necessario perché non esisteranno discriminazioni e perché ci saranno parità salariale e uguale diritti. Intanto però viva l’8 marzo, come occasione di riflessione e di discussione su quanto questo futuro risulti ancora molto lontano.

In apertura, manifestazione femminista degli anni Settanta (internazionale.it)

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