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ANPI, la lettera di quattro donne a Massimo Gramellini

di Nella Carrara con Barbara Bellino, Alma Calatroni, Teresa Bettinelli, Angela Bedoni

Buon giorno Massimo Gramellini, siamo quattro persone, quattro donne senza ruoli particolari. Vogliamo, dato che lei scrive storie, raccontarle alcune storie delle nostre famiglie, confidando che sarà curioso di leggerle e che le permetteranno di capire perché ci sentiamo ancora appartenenti all’area culturale dell’ANPI, quell’associazione anacronistica e, secondo la sua opinione, traditrice dei valori di Resistenza.

Nella, ad esempio, è nipote di Caterina (1) che, in piena occupazione nazista, con la cucina da campo delle truppe tedesche montata nel suo cortile occupato militarmente, ospitava tra i suoi figli un partigiano malato (broncopolmonite da marce forzate notturne e da denutrizione) dandogli il tempo di riprendere le forze e la lotta.

Alma e Mariangela hanno appreso, sfidando il silenzio pudìco dei genitori, che il padre Carlo (2), quando studiava medicina a Milano, era stato catturato (siamo nel 1938, di alleati nemmeno l’ombra), condannato al confino e infine deportato a Mauthausen a causa della sua attività di attivista e pubblicista antifascista tra gli studenti. Faceva parte del gruppo di ispirazione socialista cui partecipava anche Aligi Sassu. In quel campo di sterminio era stato utilizzato come lavoratore schiavo nella produzione bellica tedesca. Con l’avanzare degli alleati i suoi aguzzini lo avevano costretto a compiere 200 chilometri a piedi senza alcuna sosta perché non rimanessero testimonianze dei loro crimini. Carlo è giovane e sopravviverà, ma al suo ritorno a casa è in tali condizioni da non essere riconosciuto dai genitori.

Teresa, invece, ha scoperto che la sua famiglia conservava con affettuosa venerazione alcuni biglietti spediti in maniera rocambolesca dallo zio Arturo (3) durante la deportazione. Con l’aiuto di una ricercatrice dell’università di Bolzano ha potuto ricostruire la storia struggente del giovane zio, contadino, 27enne e già capofamiglia, incaricato dal suo “padrone” di recapitare un documento privato di cui non conosce il contenuto. Arturo è preso in un rastrellamento a Genova e inviato prima nel campo di concentramento di Bolzano e poi a Dachau, dove morirà lasciando senza risorse la sua famiglia, senza mai neppure conoscere i capi di accusa contro di lui.

Angela, a sua volta, racconta che il padre Cesare (4), ricevuta la cartolina precetto della leva   militare dalla Repubblica di Salò, matura, durante i tre giorni passati in caserma a Bologna, la convinzione di non poter militare in quell’esercito totalmente asservito ai nazisti. Fugge, quindi, dalla caserma, come molti altri soldati appena ventenni dopo l’8 settembre, e riesce ad allontanarsi con la complicità del priore di S. Luca che gli fornisce abiti civili. Manterrà fede alla sua obiezione di coscienza tentando di fuggire in Svizzera e poi vivendo una clandestinità produttiva e resistente, producendo in proprio con mezzi di fortuna e distribuendo in città volantini antifascisti. Questa esperienza di libertà ispirerà poi tutta la sua vita di educatore e di promotore scout.

E ancora, Barbara, che ora ha 99 anni, racconta un giorno alla figlia Nella di quella sua compagna di scuola che, per la sola colpa di essere fidanzata con un ragazzo salito in montagna dopo l’8 settembre, la’ nelle valli del Cuneese, era stata sequestrata dai fascisti e violentata per una notte intera. Poi all’alba le avevano rasato i capelli a zero e le avevano detto: “Va’ adesso, torna a casa!”. E quando si era allontanata sul sentiero tra i campi le avevano sparato alle spalle.

Di questo storie vive è intrisa la nostra memoria e, ora che gli anni per alcune di noi si fanno numerosi, non vogliamo che si perdano, distruggendo un’identità popolare. Per questo le raccontiamo ai nostri figli, ai nipoti e alcune di noi ai propri studenti: è l’identità del popolo italiano, dei padri, la patria nel senso vero della parola.

Infatti se è innegabile che i nostri nonni sono stati aiutati e armati dagli alleati, non le sfuggirà che la resistenza popolare e poi armata era iniziata anni prima, ancor prima dell’8 settembre. Noi riteniamo che Anpi sia uno dei luoghi che più agiscono per la trasmissione di questa memoria. Non ci insulti, siamo ancora in grado di giudicare a chi affidare la nostra eredità spirituale.

(1)Caterina Liboa’, (2) Carlo Calatroni, (3) Arturo Bettinelli, (4), Cesare Bedoni

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