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Città Metropolitane, una legge da rifare

di Pietro Mezzi

Dagli addetti ai lavori, Graziano Delrio, già sindaco di Reggio Emilia, ex ministro delle Infrastrutture e ora capogruppo alla Camera per il Pd, è ricordato come il politico che ha portato a termine, con la legge 56 del 2014, la riforma delle città metropolitane.

Grazie a quella norma, di quasi sette anni fa, è andata finalmente in porto una riforma attesa da decenni, che istituisce dieci città metropolitane nelle regioni a statuto ordinario (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Reggio Calabria) e quattro in quelle a statuto speciale (Cagliari, Catania, Messina e Palermo; in realtà le vere città metropolitane, per dimensioni, popolazione, economia, relazioni, sarebbero solo Milano e Napoli, mentre Roma ha già il suo ordinamento di Roma Capitale…).

Dal 1 gennaio 2015, le 14 nuove città metropolitane, definite dalla legge “enti territoriali di area vasta”, sostituiscono le rispettive province (la riforma è anche intervenuta a ridisciplinare gli organi e i poteri delle attuali province italiane).

La legge 56 ha avuto un grande merito: quello, dopo anni e anni di dibattito politico e accademico sulla necessità di dare vita a questa articolazione dello Stato, di aver istituito e normato questo nuovo livello istituzionale. Un merito indiscutibile.

Discutibile, anzi discutibilissimo, è invece l’impianto normativo della legge del 2014, che rappresenta il vero punto debole della riforma.

Il primo grande errore è avere stabilito che le città metropolitane fossero istituzioni rappresentative di secondo livello: i rappresentanti istituzionali del nuovo ente – sindaco metropolitano e consiglieri metropolitani – non vengono infatti eletti direttamente dai cittadini elettori, bensì dai sindaci e dai consiglieri comunali in carica nei comuni di ciascuna città metropolitana (quella di Milano si compone di 134 Comuni). Con l’elezione indiretta, la legge 56 ha creato un vulnus legato alla rappresentanza democratica.

 

L’ex sala Giunta della Provincia di Milano (il dipinto a soffitto è di Giambattista Tiepolo)

Il secondo è rappresentato dalla coincidenza della figura del sindaco metropolitano con quella del sindaco del capoluogo (Sala è contemporaneamente sindaco di Milano e sindaco metropolitano). Una coincidenza salutata inizialmente positivamente, in quanto si superava il dualismo storico tra comune capoluogo e la Provincia, ma alla prova dei fatti si è rivelata una doppia carica impossibile da esercitare: è materialmente impossibile riuscire a svolgere contemporaneamente questi due importi ruoli, quello di sindaco di Milano e di sindaco metropolitano; il secondo viene annullato dal peso del primo.

Stesso discorso vale per i sindaci eletti sia nei propri Comuni sia in Consiglio metropolitano: è impossibile esercitare, in modo efficace ed efficiente, la doppia presenza in Comune e nell’ente metropolitano, per non parlare dell’impossibilità di seguire direttamente l’attività d’ufficio: un sindaco è prima di tutto primo cittadino del proprio Comune e poi, solo poi, consigliere metropolitano, magari anche con il peso di materie delegate.

Il terzo errore della legge 56, proprio per la sua natura di ente di secondo livello, è rappresentato dalla scomparsa dell’organo esecutivo: la giunta, quale organo politico, composto da persone appartenenti a forze politiche differenti ma unite nella stessa coalizione, non esiste più. Mancando l’organo politico di un ente è venuta a mancare, di fatto, in maniera clamorosa, la stessa politica e con essa la dialettica che da sempre contraddistingue la vita di un esecutivo.

In aggiunta a questi errori clamorosi, tutti dipesi dalla natura degli organi dell’ente (il famoso secondo livello), vi è anche da ricordare la riduzione del numero complessivo dei consiglieri, una scelta che ha portato alla riduzione della rappresentanza territoriale.

Va anche ricordato, tra i limiti, il clamoroso conflitto di interessi che si determina all’interno dell’ente Città metropolitana nel momento in cui sui banchi del Consiglio siedono sindaci e consiglieri comunali eletti che, spesso, devono decidere di provvedimenti che interessano il Comune di cui sono o sindaci o consiglieri comunali.

Per non parlare infine della cronica mancanza di risorse finanziarie, di cui soffre in particolare la Città Metropolitana di Milano, dovuta da un lato al progressivo taglio dei trasferimenti dal centro alla periferia (fenomeno che ha colpito tutti gli enti locali indistintamente…) e, dall’altro, dal trasferimento di risorse dalla ricca area milanese al centro romano, in una forma paradossale di “federalismo all’incontrario” (si spiega così le difficoltà che hanno contraddistinto i primi tre-quattro anni di vita della Città metropolitana di Milano, con il rischio incombente di default e con bilanci preventivi approvati solo a fine anno…).

In generale, il dato che più deve far riflettere è che la riforma Delrio ha determinato un’espropriazione del diritto alla rappresentanza democratica, politica e istituzionale dei cittadini-elettori, a causa del sistema di elezione dei propri rappresentanti.

C’è anche un aspetto non secondario di questa riforma sbagliata che ha ulteriori ripercussioni negative.

Per legge ai consiglieri metropolitani e anche a quelli con delega (vale a dire i consiglieri delegati che svolgono le stesse funzioni che prima della riforma svolgevano gli assessori provinciali) non è dovuta alcuna indennità di carica, non hanno alcun compenso per il loro impegno in Città Metropolitana. Ciò di fatto impone, soprattutto per i consiglieri metropolitani con delega, di non poter garantire la loro presenza quotidiana negli uffici dell’ente, dovendo necessariamente lavorare per guadagnarsi da vivere.

Al di là di questo aspetto, che venale non è, ma è squisitamente politico, l’esito dell’assenza forzata dei consiglieri metropolitani con delega (siano essi sindaci o consiglieri comunali) ha determinato un vuoto politico. Un vuoto politico riempito dalla componente tecnica.

La tecnocrazia, nelle Città Metropolitane italiane, ha vinto la sua battaglia storica contro la politica. E questo credo sia un pessimo segnale per la democrazia e per la politica in generale.

Anche di questo dobbiamo ringraziare Delrio, la maggioranza parlamentare che all’epoca ha voluto e votato questa riforma, chi l’ha ispirata (presunti esperti costituzionalisti) e il clima di antipolitica di quegli anni.

La sala consiliare dove si riunisce il Consiglio metropolitano (cittametropolitana.it); in apertura l’ingresso della Città Metropolitana di Milano di via Vivaio (cittametropolitana.it)

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