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Contrasto alla CO2. Piantare alberi è la mossa giusta? Un dibattito a più tesi

a cura della Redazione

Ma piantare alberi è la mossa giusta per abbattere la CO2 oppure altre sono le ricette che servono per ridurre la temperatura del pianeta? Insomma, basta piantare alberi per salvare il mondo?

Sembrano quesiti da bar dello sport, in realtà sul tema è lo stesso mondo scientifico a dividersi, stando almeno al dibattito a cui abbiamo assistito negli scorsi mesi tra scienziati di diverse nazionalità e differenti istituti e centri di ricerca.

Lo scontro tra tesi opposte è iniziato nel luglio del 2019 quando la rivista scientifica Science ha pubblicato uno studio (The Global Tree Restoration Potential) nel quale gli autori (1) affermavano che piantare una grande quantità di alberi fosse “la soluzione attualmente più efficace contro il cambiamento climatico”.

Piantare nuovi alberi è sicuramente una buona cosa, ma subito dopo altri scienziati hanno espresso dubbi sull’efficacia di iniziative di forestazione per contrastare il cambiamento climatico. Nell’ottobre dello stesso anno, infatti, sempre Science ha pubblicato uno studio di un gruppo di ricercatori che ha smontato buona parte delle conclusioni dell’articolo diffuso nell’estate. Con dati, modelli e analisi, gli autori hanno scritto che: «L’affermazione che piantare nuovi alberi sia la soluzione più efficace per il clima è semplicemente scorretta dal punto di vista scientifico ed è pericolosamente ingannevole» (2).

Il dibattito è poi proseguito con un contributo di altri tre scienziati americani – Ellis, Maslin e Lewis (3) – che nel febbraio del 2020, sul New York Times, con un articolo dal titolo Planting Trees Won’t Save the World, spiegavano che iniziative come One Trillion Trees sono «un’illusione e che concentrarsi sugli alberi come la grande soluzione ai cambiamenti climatici fosse un pericoloso diversivo».

I tre studiosi statunitensi scrivevano che «piantare alberi rallenterebbe il riscaldamento del pianeta, ma l’unica cosa che potrà salvare noi e le generazioni future da pagare un alto prezzo in termini di denaro, di vite umane e di danni alla natura è una riduzione rapida e significativa delle emissioni di anidride carbonica derivante dall’utilizzo dei combustibili fossili, che deve essere portata a zero entro il 2050. L’unico modo per fermare il surriscaldamento del pianeta passa attraverso soluzioni politiche, economiche, tecnologiche e sociali che mettano fine all’impiego dei combustibili fossili»

Insomma, per i tre scienziati far ricrescere una foresta aiuterebbe sicuramente a ridurre alcuni effetti su base locale, ma non sarebbe sufficiente per ridurre la quantità di CO2 al punto da influire positivamente sul cambiamento del clima.

Nel loro articolo Ellis, Maslin e Lewis scrivono che occorre considerare il cambiamento climatico come problema di inquinamento da anidride carbonica, occupandosi della causa prima delle emissioni, cioè l’impiego dei combustibili fossili.

(1) Jaean-Francois Bastin dell’università di Zurigo, Yelena Finegold della Fao, Claude Garcia, dell’università di Zurigo, Danilo Mollicone del Ciriad di Montpellier e altri.
(2) Pierre Friedlingstein dell’università di Exter in Gran Bretagna, Myles Allen dell’università di Oxford, Josep G. Canadell del Global carbon project di Canberra, Glen P. Peters del Centro internazionale per le ricerche climatiche di Oslo, e Sonia I. Seneviratne, dell’Istituto per le scienze del clima e dell’atmosfera di Zurigo.
(3) Erle C. Ellis, Mark Maslin e Simon Lewis.

Il testo è tratto dal libro “Fare Resilienza” (Altreconomia; 2020)

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