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Da Melegnano a Singapore. Intervista a Laura Miotto, architetta e design director di uno studio al femminile

Intervista a cura di Pietro Mezzi

Lei è Laura Miotto. Da oltre vent’anni vive e lavora a Singapore. È architetta e design director di uno studio internazionale specializzato in allestimenti museali, costola del gruppo canadese GSM Project, con sede a Montreal.

La sua casa è nella città-Stato del sud est asiatico, ma qualcosa è rimasto a Melegnano, dov’è cresciuta, ha studiato e dove ancora ha amici e amiche e dove vive la mamma, “la Toni”, come la chiama lei.

A Singapore ha avuto una brillante carriera come designer, tanto che da alcuni anni è diventata associate professor alla School of Art, Design and Media della Nanyang Technological University di Singapore, dove co-dirige il master in Museum Studies and Curatorial Practices.

Melegnano non è solo il luogo della sua adolescenza, degli amici, degli studi e della casa in cui, dopo un anno e mezzo trascorso dall’altra parte del mondo a causa della pandemia, è ritornata a vivere la mamma. È anche il luogo in cui Laura, appena diciottenne, ha iniziato a fare politica, in un gruppo ambientalista, dalla stagione breve ma significativa.

«Devi assolutamente ricordarti di scrivere della mia esperienza in Melegnano Ambiente. Il luogo dove ho imparato a fare politica».

Architetto o architetta?

«Architetta, naturalmente. Senza ombra di dubbio. Se lavorassi qui in Italia mi presenterei così. In inglese la parola architect è neutra e non ha bisogno di declinazioni».

Ma c’è di più, molto di più, nel suo porsi come donna e design director dello studio di Singapore. Il suo studio, una quindicina di persone, è composto di sole donne.

C’è un motivo?

«Abbiamo iniziato in due, io e la mia collega cinese Fiona Ng. Da subito, senza grandi proclami o slogan politici, abbiamo deciso di assumere solo designer e architette donne. Il nostro mestiere è popolato di uomini: ci è sembrato naturale procedere in questa direzione. L’unico uomo si occupa di far funzionare i computer e si vede raramente».

In questo c’è comunque una tua scelta consapevole, che nasce negli anni dell’università…

«Certamente. In facoltà, ad architettura, ho lavorato con Ida Faré, Gisella Bassanini, Sandra Bonfiglioli, Marisa Bressan, le pioniere dei gender studies. Ho frequentato il mondo femminista di quella bellissima stagione, anche all’interno del Gruppo Vanda, una comunità di docenti, ricercatrici e studentesse del Politecnico. Lì ho maturato un pensiero non solo sulla mia condizione di donna, ma anche come architetta».

Non è stato un caso quindi che tu abbia prodotto una tesi di laurea e scritto un libro su Lina Bo Bardi, una delle madri dell’architettura moderna?

«La mia tesi su Bo Bardi – una delle figure più significative e rivoluzionarie dell’architettura contemporanea, che ha lavorato nell’architettura, nel design, nella museografia, nel cinema e in diversi altri settori e che non ha separato l’attività professionale dall’impegno politico e sociale – non è stata casuale. Si collocava in pieno in questo filone culturale».

Un impegno femminista che hai trasferito a Singapore anche al di fuori del tuo studio…

«Sì, con altri professionisti, uomini e donne, ho fondato il gruppo di architetti italiani a Singapore e con alcune delle colleghe promuoviamo incontri sulle figure femminili nel mondo dell’architettura e del design».

Sono molti gli architetti italiani che vivono lì?

«All’inizio, eravamo due, tre. Oggi siamo quasi cento».

Nei suoi vent’anni di carriera all’estero ha progettato mostre permanenti e temporanee, concentrandosi sull’interpretazione del patrimonio storico e sulla progettazione sensoriale di musei, gallerie e spazi pubblici. Ha lavorato con i grandi musei del mondo: Louvre, British, d’Orsay.

Tra le sue realizzazioni più recenti, l’estensione Gallop del Singapore Botanic Gardens (2021), il Sarawak Museum, in Malesia (2021), la mostra The Posthuman City al Ntu Cca Singapore (2020) e il Lkc Natural History Museum a Singapore (2015).

Di recente ha ricevuto il Global Fine Art Award (Best Design 2020) per la mostra Guo Pei: Chinese Art and Couture all’Asian Civilizations Museum di Singapore e, nel 2010, il President Design Award a Singapore per la mostra Quest for Immortality: The World of Ancient Egypt.

Come sei finita a Singapore?

«In occasione di una vacanza nel sud est asiatico. Sono poi ritornata in Italia, perché allora lavoravo all’Agenzia sviluppo Nord Milano e mi occupavo di progettazione partecipata. Nel 1999 ho deciso di trasferirmi definitivamente e lì ho fondato una società in joint-venture con lo studio E123 di Milano. Poi come libero professionista mi sono occupata di allestimenti museali e di progettazione d’interni, lavorando per i musei della città. Nel 2004 sono stata assunta dalla società madre canadese, che ha aperto il suo ufficio a Singapore, che dirigo. Oggi siamo tra i tre studi della città che si occupano di allestimenti museali; il nostro è forse quello più specializzato per questo genere di lavori».

Una cosa che colpisce sono le dimensioni contenute dello studio. Oggi, il mondo della progettazione ha una dimensione globale e gli studi, hanno decine e decine di collaboratori…Come si spiega questo fatto?

«La società madre opera a livello internazionale ed è sul mercato da 60 anni. Tempo fa ha proposto di espanderci. Un’idea che non mi ha mai convinta. Ho sempre pensato infatti che lo studio dovesse rimanere in una nicchia di mercato definita, per mantenerne il primato conquistato nel tempo. Abbiamo quindi preferito coltivare questo nostro valore. I mercati dell’architettura e del design sono estremamente competitivi, ma spesso la dimensione non si accompagna alla qualità del prodotto. Nel nostro lavoro credo non debbano mai mancare due cose: la progettazione, cioè il design, e il contenuto dei progetti, la narrazione. Poi, in base al lavoro da compiere, ci avvaliamo di consulenze specifiche: ci ampliamo e restringiamo secondo le esigenze lavorative, ma il nucleo centrale è decisamente contenuto».

Poi, più recentemente, l’insegnamento…

«Sì, è stato un ritorno nel mondo dell’università. Lì formo studenti di arte e fotografia in quanto insegno allestimenti. Credo di essere un’insegnante dal profilo interdisciplinare, in realtà non sono nessuna di queste cose nello specifico».

Ma qual è la tua casa?

«Beh, dove abito. A Singapore. Anche se la città, di sei milioni di abitanti, è molto competitiva, orientata al lavoro, piuttosto cara, stressante. Un luogo, a cui sono molto affezionata, in cui però è difficile pensare di radicarsi. Per ritagliarmi uno spazio di libertà e di vivibilità mi sono costruita un kelong, una palafitta, in un’isola a sud di Singapore. Anche quella è casa mia».

Kelong al largo di Singapore; sono piattaforme offshore in legno; servono principalmente ai pescatori per la pesca, quelle più grandi anche come abitazione

E il rapporto con l’Italia?

«Ho un legame forte. Tornando all’università ho ripreso letture del passato che mi hanno riportato indietro nel tempo e che fanno parte della mia formazione. L’Italia, gli studi, la cultura fanno parte del mio dna, dal quale è impossibile prescindere».

e con Melegnano?

«Principalmente un rapporto di carattere familiare. Lo spazio dove ritrovo le cose con cui sono cresciuta. E poi alcuni luoghi storici: il castello, Rocca Brivio, Viboldone. Sono cose che sento mie, che mi appartengono».

Altro?

«E poi Melegnano Ambiente, che ho frequentato nella seconda metà degli anni Ottanta. Siamo stati precursori, se solo penso alla quantità di plastica che circola ancora oggi a Singapore e invece alle campagne di quegli anni fatte a Melegnano per sostituire i sacchetti di plastica.  Ero giovane, ma quell’esperienza è stata per me importante, dove ho imparato l’abc dell’attivismo. È stato il mio ingresso nella politica e nella possibilità di esprimersi politicamente. Un luogo non gerarchico, con un dibattito improntato all’orizzontalità. Un’esperienza che mi è servita anche in altri ambiti. Una dimensione che mi è mancata a Singapore, dato il carattere autoritario del sistema politico locale. Forse anche per questo ho concentrato le mie energie nel lavoro e nell’impegno culturale».

Le copertine di una pubblicazione di Melegnano Ambiente realizzate da Laura Miotto nel 1986

Proprio in questi giorni Laura sta lavorando con il pensiero ancora rivolto all’Italia. Su incarico del National Art Council, ha iniziato a progettare l’allestimento del padiglione di Singapore per la Biennale Arte del prossimo anno.

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