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Dagli impegni alle azioni concrete: le città e l’urgenza della crisi climatica

di Stefano Caserini *

Il riscaldamento globale è ormai diventata la grande questione ambientale del XXI secolo, e si è diffusa la sensazione che il tempo dei tentennamenti sia finito: se non si interviene riducendo rapidamente e con decisione le emissioni dei gas climalteranti aumenteranno i rischi di impatti molto pericolosi per le attività umane. Ed è anche chiaro che è necessario gestire gli impatti che già si stanno verificando.

La scienza del clima negli ultimi anni ha eliminato gli alibi sulle cause del riscaldamento in atto (1), attribuendo alle attività umane, in particolare all’uso di combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), le responsabilità principali e indicando come minore il ruolo dei fattori naturali (la variabilità della radiazione solare): la comunità scientifica considera molto elevata la probabilità che in questo secolo la Terra dovrà fronteggiare cambiamenti climatici molto pericolosi per le persone e gli ecosistemi che la abitano.

New Orleans dopo il passaggio dell’uragano Katrina, settembre 2005 (foto, Jocelyn Augustino; Fema)

Il Rapporto speciale dell’Ipcc

Numerosi sono i documenti che hanno confermato il consenso scientifico su questo tema: rimanendo ai più recenti, è possibile citare il Rapporto speciale sul riscaldamento globale di 1,5°C dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) (2), l’organismo Onu che periodicamente effettua una sintesi della letteratura scientifica disponibile e a cui collaborano volontariamente migliaia di scienziati.

L’imponente sintesi dei dati e delle spiegazioni scientifiche offerte nei suoi rapporti dall’Ipcc offre un quadro sempre più coerente, in cui nonostante le inevitabili incertezze su alcuni aspetti emergono molti punti fermi e due solidissime conclusione. La prima è che il clima è già cambiato, e l’aumento delle temperature medie globali già registrato nell’ultimo secolo, circa 1°C (Figura 1), è il più consistente fra quelli registrati a scala globale negli ultimi due millenni.

La seconda è che se nei prossimi decenni non ci saranno consistenti riduzione delle emissioni dei gas serra, le temperature aumenteranno di altri 3-4 °C, generando estesi cambiamenti climatici quali l’aumento delle ondate di calore, dei periodi siccitosi, delle tempeste, nonché l’innalzamento del livello del mare a causa della deglaciazione di parti importanti delle calotte polari. Per avere buone probabilità di contenere l’aumento delle temperature globali “ben sotto i 2 °C rispetto ai livelli preindustriali (circa 1 °C in più rispetto ai livelli del 2018)” (3), è necessario raggiungere il pareggio fra le emissioni di gas serra e gli assorbimenti a partire entro circa il 2050, ossia fra circa 30 anni. Un tempo brevissimo per una transizione tecnologica su scala globale. I soli tre decenni, è necessario ridurre di almeno il 90% le emissioni di CO2, azzerare la deforestazione e assorbire dall’atmosfera la CO2 residua per ottenere l’azzeramento delle emissioni nette (Figura 2) (4).

L’impatto del climate change sulle popolazioni povere

Per le società umane, gli impatti dei cambiamenti climatici aggravano altri fattori di stress, con effetti più negativi per le persone più povere, più vulnerabili. In particolare, eventi estremi quali ondate di calore, siccità, inondazioni, nubifragi e incendi boschivi hanno già mostrato impatti diretti sulle condizioni di vita, la riduzione delle rese agricole, la distruzione di abitazioni e infrastrutture, ma anche indiretti in termini di aumento dei prezzi alimentari e l’insicurezza alimentare.

Ogni paese è vulnerabile al cambiamento climatico, ma in particolare lo sono i paesi più poveri; una vulnerabilità che deriva dall’alta densità della popolazione, dalla scarsità delle risorse di base, dalle deboli strutture sociali e politiche per organizzare l’adattamento ai cambiamenti.

Il cambiamento climatico e le città

Le variazioni climatiche avranno profondi impatti sulle città, sulle loro infrastrutture e i loro servizi; l’aumento delle temperature medie comporterà un aumento della frequenza e della durata delle “ondate di calore”, ossia i periodi con temperature nettamente più alte della media, particolarmente sentite negli agglomerati urbani. La vulnerabilità degli insediamenti umani può essere ridotta incorporando nelle politiche di sviluppo locale delle azioni di “disaster risk management” e di adattamento ai cambiamenti climatici; ma c’è un limite anche alla capacità di adattamento.

I cambiamenti del clima del pianeta nelle ultime centinaia di migliaia di anni sono stati rilevanti, con le calotte polari che nei periodi glaciali hanno occupato un’estesa parte delle terre emerse nell’emisfero nord e il mare che nei periodi interglaciali è salito di diversi metri rispetto ai livelli attuali; ma sono stati comunque nel complesso processi lenti, variazioni occorse in diverse migliaia di anni, a cui le poche decine o centinaia di migliaia di esseri umani hanno saputo adattarsi nel modo più semplice, spostandosi in zone più favorevoli. Invece, alcuni impatti del riscaldamento globale previsti per i prossimi decenni, come l’innalzamento del livello del mare, mettono a rischio l’esistenza stessa di tante città costiere popolate da milioni di persone.

Più di due terzi della popolazione europea vive e lavora nelle città, consumando circa l’80% dell’energia totale usata in Europa e contribuendo a più di due terzi delle emissioni di biossido di carbonio (CO2) europee. Nonostante la stima precisa delle emissioni attribuibili alle città sia ancora incerta a causa di problemi metodologici e disponibilità dei dati, il contributo delle città a queste emissioni è in aumento, a causa principalmente dell’incremento dell’urbanizzazione e della conseguente concentrazione di persone e attività generatrici di emissioni. Per questo motivo, le aree urbane sono al centro della questione climatica e hanno un ruolo importante negli interventi di mitigazione e adattamento necessari.

Il ruolo delle città

Secondo numerosi studiosi del settore (si veda, ad esempio, Fudge e Peters, 2009; Heidrich et al., 2016) (5), le amministrazioni locali, in qualità di centri di governo più vicini ai cittadini, sono nella posizione ideale per incidere sui comportamenti della collettività e possono contribuire allo spostamento del consumo energetico verso soluzioni più sostenibili, fungendo da interfaccia tra le azioni locali e gli interventi a livello nazionale e internazionale. Va però riconosciuto che le scelte strategiche e di investimento nei settori dell’energia, dei trasporti e dell’uso del suolo sono effettuate a livello nazionale o sovranazionale, che finanziano e guidano i grandi processi di trasformazione tecnologica o di costruzione di grandi infrastrutture. Le diminuzioni delle emissioni di gas climalteranti legate ad esempio all’impiego di fonti di energia rinnovabile o all’efficienza energetica nei trasporti sono dovute a politiche e misure (es. incentivi, defiscalizzazioni, tassazioni), attuate a livello nazionale, non all’intervento diretto delle autorità locali.

Nonostante i risultati dei centri urbani nel contrastare il cambiamento climatico siano frequentemente elogiati, molti autori hanno sottolineato i limiti degli interventi a scala locale (6). La maggior parte dei governi locali ha scarse responsabilità nei settori centrali per la mitigazione del cambiamento climatico e non dispongono delle risorse per portare avanti politiche climatiche di ampio respiro (7). Perché le realtà locali possano avere successo sono necessarie conoscenze e risorse, stabilità politica e presenza di dense reti sociali.

Il Patto dei Sindaci

Il “Patto dei Sindaci” è fino ad oggi uno dei più importanti programmi per la mobilitazione delle autorità locali nello sviluppo di strategie per la sostenibilità energetica. Avviato nel 2008 dalla Commissione europea per coinvolgere le città nel perseguimento degli obiettivi dell’Unione Europea, è stato successivamente modificato nel 2015 con il nuovo Patto dei Sindaci per il Clima e l’Energia, con l’affiancamento delle misure di adattamento a quelle di mitigazione, nell’ambito dei nuovi impegni di previsti per il 2030 (riduzione delle emissioni di CO2 del 40% rispetto a quelle registrate nel 1990 o in anni successivi). L’iniziativa è diventata globale nel 2017 con il nome di Global Covenant of Mayors for Climate and Energy, e ha avuto una grande partecipazione, con oltre 7.600 enti locali e regionali attivi in 53 paesi. Gli Stati che vi hanno aderito con maggior entusiasmo sono Italia e Spagna, che contano all’attivo rispettivamente circa 4.000 e 1.800 firmatari (8).

Con l’adesione al Patto dei Sindaci le Amministrazioni si sono impegnate a seguire un percorso per tradurre la propria scelta politica in misure e progetti pratici, accettando di presentare rapporti sui progressi compiuti ai fini di valutazione, monitoraggio e verifica. Il punto centrale è la definizione di un Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile (Paes), che prevede interventi relativi agli ambiti di competenza dei Comuni, ossia soprattutto su edifici, attrezzature e impianti, trasporti pubblici, produzione locale di elettricità e di calore. Di fatto, la stragrande maggioranza delle esperienze di adesione al Patto dei Sindaci hanno portato a risultati molto limitati, in particolare nei piccoli Comuni, prevalentemente per la carenza di risorse economiche e personale (9), anche perché le possibilità di investimento e di assunzione di personale da parte delle amministrazioni locali sono state pesantemente limitate anche dai vincoli del Patto di stabilità approvato in sede europea.  In molti casi i Comuni hanno firmato il Patto dei Sindaci senza poi tradurre gli impegni presi in azioni concrete; nel complesso le riduzioni delle emissioni di CO2 generate dalle azioni avviate tramite i Paes sono state generalmente trascurabili rispetto alle riduzioni complessive registrate per motivi indipendenti dal Patto dei Sindaci.

Serve un cambio di passo

L’urgenza della crisi climatica è sempre più evidente, e suffragata dai segni sempre più tangibili degli effetti del surriscaldamento globale (di particolare rilevanza, nel 2019 e inizio 2020, i devastanti incendi dalla Siberia all’Amazzonia, dalla California all’Australia). Questa urgenza impone un cambio di passo nelle azioni delle città contro il riscaldamento globale. Il livello di impegno, e soprattutto di risultati ottenuti, che ha caratterizzato i primi due decenni del XXI secolo sono chiaramente insufficienti per raggiungere gli obiettivi sottoscritti con l’Accordo di Parigi. I tempi rapidissimi della transizione energetica, circa tre decenni, richiedono di sviluppare nuovi tipi di azioni e apprendimenti, meno dimostrative e più coordinate e incisive, basate su affinità territoriali e in grado di valutare la reale portata delle buone pratiche locali. A supporto di questo diverso e più radicale livello di mobilitazione può essere utile ricordare i tanti benefici delle azioni sull’energia sostenibile e il clima, dai benefici sulla qualità dell’aria ai risparmi per l’approvvigionamento dei combustibili fossili, dallo sviluppo di nuovi posti di lavoro alla leadership nelle tecnologie energetiche che hanno un futuro e un crescente interesse del mondo della finanza (10).

Climate change e Covid

Il mondo è cambiato, il disastro della pandemia Covid-19 ha dato un mostrato quanto può essere dannoso e costoso farsi impreparati ad affrontare rischi che hanno bassa probabilità di accadimento ma grandi conseguenze. A differenza del virus che ha improvvisamente sconvolto la vita di miliardi di persone nel primo semestre del 2020, le variazioni climatiche arrivano da lontano, da almeno un secolo di utilizzo sconsiderato dei combustibili fossili, e hanno tempi di recupero che si misurano in secoli e millenni. Non sarebbe saggio perdere altro tempo.

In apertura, New York dopo il passaggio dell’uragano Sandy dell’ottobre 2012

Note

(1) Per un riassunto delle tesi negazioniste sul clima, si rimanda al libro A qualcuno piace caldo (Stefano Caserini, Edizioni Ambiente, 2008, Milano), disponibile gratuitamente sul sito caserinik.it/aqpc, e al sito Climalteranti.it.

(2) Il Rapporto è disponibile sul sito web ipcc.ch. La traduzione italiana del Sommario per i decisori politici di questo rapporto, curata dalla Società italiana per le Scienze del Clima, è disponibile su www.sisclima.it.

(3) L’obiettivo dell’Accordo di Parigi, definito all’articolo 2 dell’Accordo, è «…mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, e perseguire sforzi volti a limitare l’aumento di temperatura a 1,5 °C».

(4) Rockstrom J. et al. (2017) “A roadmap for rapid decarbonization. Emissions inevitably approach zero with a “carbon law”, Science, vol. 355, issue 6331, 1269-1271.

(5) Fudge S. et al. (2016). Local authorities as niche actors: the case of energy governance in the UK. Environmental Innovation and Societal Transitions, 18 (1): 1-17. Heidrich O. et al. (2016). National climate policies across Europe and their impacts on cities strategies. Journal of Environmental Management 168: 36-45.

(6) Brooks S. (2017). No, cities are not actually leading on climate. Enough with the mindless cheerleading. Disponibile su: greentechmedia.com/articles/read/hard-truths-about-city-failures-with-clean-energy#gs.VKdFI78. Jabareen Y. (2015). City planning deficiencies & climate change – The situation in developed and developing cities. Geoforum 63: 40-43.

(7) Fuhr, H., Hickmann T., Kern K. (2018). The role of cities in multi-level climate governance: local climate policies and the 1.5 °C target. Current Opinion in Environmental Sustainability 30: 1-6.

(8) Si veda covenantofmayors.eu.

(9) Messori G., Brocchieri F., Morello E., Ozgen S., Caserini S. (2020) A climate mitigation action index at the local scale: methodology and caste study. Journal of Environmental Management, 260, 110024

(10) Ho passato in rassegna queste opportunità nel mio ultimo libro “Il clima è già cambiato. 9 buone notizie sui cambiamenti climatici”, Edizioni Ambiente, 2019.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, svolge attività di ricerca scientifica e consulenza nel settore dell’inquinamento dell’aria, della stima e riduzione delle emissioni in atmosfera e dei cambiamenti climatici. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative, ha pubblicato anche diversi libri, il primo A qualcuno piace caldo (Edizioni Ambiente, 2008, ora disponibile sul web all’indirizzo www.caserinik.it/aqpc), l’ultimo Il clima è già cambiato. 9 buone notizie sui cambiamenti climatici (Edizioni Ambiente, 2019). Ha fondato e coordina il blog www.climalteranti.it, uno dei principali blog scientifici italiani sul tema del cambiamento climatico ed è co-Direttore della rivista scientifica Ingegneria dell’Ambiente.

L’articolo di Stefano Caserini è stato pubblicato sul libro “Fare Resilienza” (Altreconomia; 2020)

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