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Economia Circolare, parla l’esperto

di Elisa Barchetta                                       

 

Da tempo si parla di cambiamento climatico, di ridurre l’impatto ambientale dell’azione umana, ma anche di concetti quali sostenibilità ed economia circolare.

Per capire meglio di che cosa si tratta abbiamo intervistato il ceo e fondatore di ZeroEnvironment, Carlo Ghiglietti, che da circa trent’anni si occupa di ambiente e da sei è impegnato a tempo pieno sull’economia circolare.

Cosa si intende per economia circolare?

Il concetto di economia circolare in sé è relativamente nuovo; la prima definizione è stata fornita dalla Ellen MacArthur Foundation, ma in realtà era una pratica quotidiana delle attività di sessanta o settant’anni fa perché era il modo di operare che avevano i nostri nonni. In modo semplice, economia circolare vuol dire non sprecare materia e recuperare tutto ciò che è possibile. Attualmente è un termine molto inflazionato e viene snaturato del suo vero significato. Spesso è accomunato al concetto di riciclo, ma è un’altra cosa. Per dare un’idea con un’immagine, anche seguendo le direttive europee, il concetto di riciclo è il penultimo gradino di una piramide alla cui base c’è l’incenerimento della materia per termodistruzione, mentre all’apice c’è la prevenzione dello scarto. Prevenire lo scarto è l’idea base dell’economia circolare e vuol dire pensare alla creazione di prodotti che a loro volta non generino rifiuti. Le ultime direttive Ue, entrate in vigore il 26 settembre 2020, prevedono che nel 2035 non sarà possibile smaltire in discarica più del 10% degli scarti. Tutto il resto dovrà essere recuperato, riciclato e riutilizzato.

In cosa l’economia circolare è diversa dalla sostenibilità?

La differenza è fine, anche se i due concetti spesso vengono associati. Il concetto di sostenibilità è molto più ampio, racchiude e utilizza l’economia circolare come strumento di applicazione. La sostenibilità può essere ambientale, sociale e finanziaria. Per essere sostenibile un progetto deve essere pensato in modo olistico, ogni parte deve essere collegata con le altre e questo è possibile “pensando circolare”. A titolo esemplificativo, il prodotto dovrà essere sostenibile dal punto di vista ambientale utilizzando anche materiali di recupero o di riciclo, la filiera di produzione della materia prima non dovrà avere un impatto devastante sull’ambiente o sulle persone – e in questo senso si parla di sostenibilità sociale perché se, ad esempio, per produrre cotone biologico in India si utilizza manodopera minorile evidentemente il progetto di economia circolare non ha senso – e infine dovrà avere una sostenibilità finanziaria, perché chi lo produce deve trarne un beneficio economico. Per portare avanti un progetto di economia circolare l’impresa deve avere la forza di mantenerlo nel tempo, perché un bellissimo progetto che non riesce a essere sostenibile finanziariamente e termina dopo sei mesi è insensato.

Può fare un esempio concreto di come l’economia circolare influisce sul modo di fare impresa? Si parla ad esempio tanto della plastica, del suo riciclo…

Ad oggi abbiamo esempi molto pubblicizzati ed enfatizzati legati al settore della plastica, ma rimandano al concetto di riciclo: utilizzare la plastica riciclata per crearne altra con la scusa di andare ad abbattere l’impatto che si ha sull’ambiente, perché si utilizza il petrolio come materia prima. In realtà il riciclo è uno strumento importante e un passo avanti per ridurre gli scarti, ma non è fare economia circolare. Facciamo l’esempio del Pet, delle bottiglie di plastica. Oggi esiste il Coripet, il consorzio delle aziende di produzione di acque minerali che hanno deciso di recuperare le proprie bottiglie di plastica. Di queste solo il 30% può essere riutilizzato per fare altre bottiglie, il restante 70 viene usato per altri prodotti. Uno di quelli che utilizza di più le fibre di Pet è il pile. Purtroppo i maglioni di pile sono risultati uno dei prodotti più inquinanti e contaminanti al mondo a livello di microplastiche rilasciate durante il lavaggio, e di questo nessuno tiene conto. È quello che io definisco un punto cieco del progetto: si ricicla una bottiglia, si realizza un maglione in pile, ma a livello di impatto ambientale si azzera tutto ciò che si è fatto perché si crea un impatto devastante sugli oceani. Per ovviare al problema basterebbe corredare il maglione di un sacchettino per il lavaggio che trattenga le fibre di Pet. Può sembrare un esempio banale, ma spiega bene come si può guardare oltre il progetto in sé sviluppandolo in modo realmente sostenibile e secondo il concetto di economia circolare.

 

Carlo Ghiglietti. ceo e fondatore di ZeroEnvironment

 

L’economia circolare può essere applicata anche a un territorio e alla sua gestione?

Assolutamente sì. Spesso è un concetto associato solo alla gestione dei rifiuti o al mondo delle imprese, mentre in realtà è un bacino di possibilità e opportunità per i territori, che hanno sì le loro problematiche ma anche le loro ricchezze. Non può essere svincolata dal bene del territorio, ma quello che purtroppo succede è che di solito si ragiona in maniera selettiva senza guardare mai all’esterno. L’economia circolare deve invece essere concepita in maniera diversa e coinvolgere tutti i soggetti del territorio per farlo crescere economicamente, socialmente e dal punto di vista ambientale in maniera uniforme e velocemente. Ma questa interazione non si cerca mai, le amministrazioni non la cercano con le imprese, che non interagiscono con le grandi associazioni di categoria, queste ultime non si confrontano mai seriamente con cittadini e amministrazioni. Questo permetterebbe di fare davvero economia circolare sui territori.

Può fare un esempio su un territorio comunale, sulle problematiche che può avere o deve affrontare?

Tutte le città, grandi o piccole, hanno un problema legato alla gestione dei rifiuti e l’economia circolare può fare tantissimo per andare incontro a questa esigenza perché dal 26 settembre 2020 tutti gli Stati membri dell’Ue dovranno innescare dei modelli in linea con le nuove direttive. L’Italia ha firmato quattro decreti, di cui il più importante è il decreto legislativo 116/2020, in cui vengono stravolti i vecchi canoni della gestione dei rifiuti. Ad esempio, i vecchi rifiuti speciali che venivano prodotti dalle aziende e gestiti in maniera diversa rispetto alla raccolta differenziata delle case, verranno assimilati ai rifiuti urbani. Ciò comporta per le città e i comuni una gestione diversa di questi materiali, vuol dire pensare in modo differente la loro raccolta e creare strutture capaci di recuperarli tutti (carta, cartone, plastica, vetro, alluminio, ferro, legno). Il primo passo sarà quello di interrogarsi su ciò che si sta facendo rispetto alla gestione dei rifiuti, perché in futuro non sarà più concepibile avere un sacco differenziato per ogni materiale e si dovrà pensare ad essi come se fossero materie preziose. Città e comuni diventeranno fondamentali perché saranno punti di raccolta non più di rifiuti, ma di materia prima e seconda. Occorrerà pensare secondo il concetto di bio-economia della città, di cui farà parte anche l’umido, e sviluppare un nuovo approccio verso l’ambiente e il sociale. Per fare un esempio, recuperando in modo adeguato gli scarti sarà possibile avere degli sgravi fiscali sulla Tari, incentivare il lavoro attraverso la creazione di filiere di recupero e il recupero stesso tramite la creazione di luoghi dove questi materiali potranno essere rilavorati e smistati nuovamente. Le direttive europee vanno in questo senso, introducendo anche la responsabilità estesa del produttore, concetto che prevede che chiunque produca un bene ne sia responsabile fino al fine vita.

Quindi anche le amministrazioni pubbliche dovranno investire molto per esempio sulla cultura di cittadini, ma anche impegnarsi per ripensare, nei piani di governo del territorio, le aree in cui fare punti di raccolta diversi dalle attuali discariche?

Ci sono esempi in Europa, soprattutto in Inghilterra, Germania, Olanda dove è difficile trovare delle piattaforme ecologiche come da noi. In Italia i cittadini portano i rifiuti alle piattaforme e i materiali vengono poi inviati in discarica o agli impianti di trattamento, che non creano dei beni. In altri paesi invece ci sono dei centri, chiamati urban mining o environment park, dove i materiali vengono rivitalizzati. In Svezia ad esempio c’è ReTuna, una sorta di Ikea del materiale usato. Tutti i materiali che entrano lì non sono rifiuti ma materia e dunque beni dai quali è possibile recuperare pezzi, ricreare materia o riciclare. Al suo interno, giovani start-up recuperano mobili, abiti, ricondizionano computer e smartphone e li rivendono come nuovi prodotti e collezioni. Ciò che non può essere recuperato in toto viene smontato, si recuperano i pezzi e il poco che rimane viene inviato in discarica. Non esiste più il concetto di rifiuto, si passa al concetto di bene. Ma anche la concezione stessa di discarica dovrà essere differente. Oggi noi non facciamo molta attenzione a come i rifiuti vi vengono conferiti, in futuro invece dovrà essere progettata in modo che sia una miniera di materiale che in questo dato momento non possiamo gestire, ma che sarà possibile recuperare quando le nuove tecnologie lo permetteranno. Vent’anni fa lavoravo a un progetto simile e oggi buona parte di quei materiali viene recuperato e riutilizzato: la plastica era uno di questi. Ci sono importanti società che stanno lavorando su progetti per rivuotare le vecchie discariche, recuperare tutto il materiale all’interno perché ha un valore commerciale e lasciare solo ciò che non può attualmente essere gestito. Anche in Italia ci sono progetti simili, ad esempio sulla discarica di Malagrotta a Roma, ma se ci pensiamo bene qui vicino abbiamo la discarica di Montebuono a Vizzolo Predabissi, che ha ricevuto per decenni materiali non selezionati e potrebbe davvero essere una miniera di beni da rilavorare. Anche dal punto di vista ambientale e della sicurezza vorrebbe dire ripensare al contenimento in modo diverso, a tutto vantaggio della cittadinanza.

Come impatta oggi l’economia circolare sulle singole persone?

In questo momento impatta solo in piccola parte sulle imprese e per nulla sulle persone. La comunicazione relativa all’economia circolare sulle persone non è quella giusta, non è quella che si vede in televisione. Il 90% di quello che passa dai media è greenwashing. Occorre far comprendere alle persone che anche a livello domestico, con la scelta delle singole azioni quotidiane, è possibile fare la differenza. Un esempio: la scelta degli indumenti tecnici utilizzati per allenarsi. Si tratta di capi che non fanno raffreddare il corpo, sono traspiranti… ma nessuno pensa mai che non sono per nulla sostenibili e circolari. Sono creati dal petrolio e non da altri materiali, pochissimi utilizzano materiali di riciclo e una volta buttati via il loro unico destino è la termodistruzione o la discarica. Bisognerebbe cominciare a pensare di scegliere i materiali da filiere che sappiamo essere più sostenibili e che permettono di recuperarli una volta dismessi. I cittadini però non sono attrezzati per fare scelte consapevoli, a causa della comunicazione che viene fatta attualmente e che invece dovrebbe essere più mirata su di essi perché sono quelli che possono spingere verso l’economia circolare, ne sono i veri ambasciatori. Come? Attraverso le scelte della loro quotidianità: spazzolini da denti in bamboo, dentifricio in pastiglie, carte di credito in legno; gli esempi sono tantissimi. Ma tutto parte dalla comunicazione di questo cambiamento epocale.

Perché oggi, forse più che mai, è così importante parlare di economia circolare?

Perché non possiamo più avere questa pressione sul nostro pianeta. Non abbiamo più margini e forse li abbiamo anche già superati. Non possiamo più mantenere gli stili di vita e di consumo avuti fino a oggi. È fondamentale rendere le persone consapevoli del fatto che ogni azione compiuta crea un impatto e una pressione sull’ambiente. Come fare la differenza? Un esempio banale: invece di chiedere una bottiglietta d’acqua al bar, chiedere un bicchiere d’acqua. Sembrano piccole cose, ma una scelta rispetto a un’altra può fare un danno enorme.

Quali sviluppi avrà, secondo lei, l’economia circolare?

Sarà la base portante della futura economia. Tutti i modelli economici avranno come base l’economia circolare. E non si tratta di una moda, perché anche la legislazione – specie quella internazionale – spinge in questa direzione.

 

 

Photo credit © 2020 Fotografia di apertura di Adriano Carafòli

 

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