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Fare resilienza a Milano. Intervista a Piero Pelizzaro

a cura di Massimo Acanfora di Altreconomia

È il primo, e al momento l’unico, capo ufficio resilienza di un comune italiano. Si chiama Piero Pelizzaro, 39 anni compiuti, vicentino, supertifoso di quella che una volta si chiamava Lanerossi Vicenza, laureato in scienze internazionali diplomatiche. Per un anno e mezzo, allo Stockholm Resilience Centre, ha seguito gli insegnamenti del maggior esperto di resilienza a livello mondiale, Johan Rokström. Dal dicembre del 2017, dopo aver lavorato al Kyoto Club, aver fondato Climalia, la prima start-up italiana in materia di clima, e vinto un bando di selezione pubblica, è il Chief Resilient Officer del comune di Milano.

Nella sua veste di esperto di resilienza, gli abbiamo rivolto alcune domande sulle cose fatte in questi anni nella squadra del sindaco Beppe Sala e su cosa significa, in concreto, occuparsi di resilienza in una grande città.

La chiacchierata parte da un aspetto apparentemente secondario, in realtà centrale per una nuova funzione come quella che Pelizzaro ricopre all’interno dell’organigramma comunale.

«L’avventura sarebbe potuta iniziare prima, se nel mezzo non ci fossero state le elezioni comunali del 2016 – attacca -. Tutto era pronto nel 2015, grazie al bando della Rockefeller Foundation vinto dal Comune. All’inizio, nell’organigramma sono stato inserito in una direzione di progetto temporanea, che si occupa di innovazione, successivamente nella direzione generale, in quanto una delle condizioni poste dalla fondazione Rockeffeler consisteva nel fatto che il capo ufficio resilienza dovesse stare il più possibile vicino alla catena di comando, quindi al sindaco. Sei mesi dopo, sono passato alla direzione urbanistica, in quanto in quella fase l’amministrazione comunale stava lavorando al Piano di governo del territorio. Quando il sindaco Sala ha deciso di trattenere per sé la delega alla transizione ambientale sono tornato a lavorare in quella direzione, occupandomi del progetto strategico Forestami e di cambiamento climatico».

Ma cosa significa fare resilienza all’interno di un Comune?

«Dare una definizione facilmente comprensibile di ciò che io e miei colleghi facciamo all’interno del Comune non è cosa semplice. A differenza di altre funzioni e ruoli, che hanno precisi riferimenti normativi, alla nostra attività manca una disciplina. Qui a Milano ci stiamo provando, sperimentando formule innovative».

Ma di cosa si occupa l’ufficio resilienza del Comune? Pelizzaro fa un lungo elenco di cose fatte e di progetti aperti.

«Stiamo lavorando alla scrittura delle linee guida del piano di adattamento climatico del Comune e al progetto Milano School Oasis, copiato da Parigi, per il miglioramento delle condizioni complessive degli edifici e degli spazi scolastici, per adattarli agli effetti del climate change. Contemporaneamente lavoriamo al progetto Scuole aperte, con lo scopo di aprire all’uso pubblico, nel fine settimana e nelle ore serali, alcuni spazi e aree scolastiche. Pensiamo alle scuole come luoghi in cui le persone anziane possano anche ripararsi e trovare sollievo nella stagione più calda. Il nostro compito è raccordare e far coincidere esigenze differenti. Più che di risorse finanziarie il nostro lavoro si alimenta di idee nuove e di intelligenze».

L’ufficio resilienza del Comune è oggi conosciuto a Milano per il coordinamento che sta svolgendo al progetto Forestami (20zero77 ne ha parlato qualche mese fa) un progetto a più mani e più teste, che vede impegnati oltre al Comune, la Città metropolitana, Parco Nord, Parco Sud, Ersaf e il Politecnico di Milano. Obiettivo dichiarato: piantare, entro il 2030, tre milioni di alberi a Milano e nei 133 comuni dell’area metropolitana.

«Interessante è il lavoro che stiamo conducendo con i colleghi dell’urbanistica per finanziare progetti di acquisizione di aree e di piantumazione di Forestami, attraverso la monetizzazione degli standard urbanistici dei piani attuativi comunali. Poi lavoriamo con il settore sport per migliorare gli impianti con operazioni di efficientamento energetico. Con l’assessorato all’urbanistica abbiamo avviato i primi interventi di depavimentazione. Collaboriamo con la direzione innovazione su progetti specifici di ricerca e sviluppo. Stiamo coordinando un lavoro sulle comunità energetiche. Abbiamo un rapporto molto stretto con il Politecnico, con cui lavoriamo a diversi progetti, così come collaboriamo con la Città metropolitana sull’adattamento».

Poi c’è la dimensione internazionale dell’ufficio resilienza. Un terreno sul quale Pelizzaro si trova a suo agio, che lo ha portato a confrontarsi su argomenti differenti con le città di Melbourne, Manchester, Parigi, Londra, Barcellona, Atene, Rotterdam, De Haag, Lisbona, Quito, Buenos Aires.

«In più collaboriamo alle iniziative di fondazioni e associazioni, a partire da C40, Bloomberg Associates, ActionAid, Save the Children, Legambiente, Protezione civile nazionale. Lavoriamo con le Arpa di Lombardia e di Emilia-Romagna, con i consolati dei Paesi Bassi, degli Stati Uniti, di Svizzera, Regno Unito e Israele».

Due anni e mezzo sono un tempo sufficiente per compiere alcune prime valutazioni su un ufficio nuovo di zecca e per capire se e quali sono i margini di miglioramento.

«Serve affermare che la resilienza, per la sua trasversalità, ha una funzione di abilitatore all’interno delle amministrazioni locali, per un ripensamento complessivo della città e del suo funzionamento. Poi, per migliorare servono team multidisciplinari. E poi occorre maturare una capacità di mediazione e di diplomazia indispensabili per agire all’interno di una struttura fortemente gerarchizzata come quella degli enti locali».

Ultimo ma non ultimo, il Covid e la resilienza. Che relazione si è instaurata tra l’emergenza sanitaria vissuta e che stiamo vivendo e le attività di un ufficio che della capacità di reazione agli shock fa una sua ragione di vita?

«L’emergenza ci ha offerto e ci offre ancora diverse indicazioni. La prima che la cura non è solo sanitaria, ma umana. Dall’altro, che occorre investire sulla felicità delle persone, non solo come valore, ma anche come spazi di vita. Elementi questi che rafforzano la resilienza collettiva e individuale. In questa emergenza abbiamo potuto verificare come alcune scelte degli anni scorsi siano state lungimiranti. Il lavoro svolto su smart city e smart working sono tornati di grande utilità. In generale, Milano, come l’Italia nel suo complesso, di fronte al rischio pandemico si è dimostrata una comunità resiliente. La sfida che oggi abbiamo di fronte riguarda alcune delle cause che ci hanno portato al rischio catastrofe: l’inquinamento e la perdita di biodiversità. E nella fase della ricostruzione appena avviata dobbiamo imporre un ripensamento complessivo. Se parliamo di rilancio dell’edilizia, dobbiamo chiederci quale edilizia privilegiare; se dobbiamo aiutare le imprese con gli incentivi statali quali di queste dobbiamo privilegiare: quelle con i capitali all’estero? Quelle che pagano poche tasse, perché hanno sede in qualche paradiso fiscale? Nell’emergenza sanitaria in cui ancora ci troviamo abbiamo tutti quanti acquisito una grande consapevolezza riguardo le fragilità individuali e collettive. C’è stata inevitabilmente una responsabilizzazione collettiva e la percezione che solo una risposta collettiva e pubblica può risollevare le sorti di una comunità nazionale. Questa consapevolezza noi la dobbiamo trasferire anche sul tema dell’emergenza climatica. Una consapevolezza che prima di WuHan stava entrando prepotentemente nelle nostre case, ma che per il momento si è arenata. Ma l’attuale crisi ci ha anche insegnato che i comportamenti virtuosi di cui siamo stati capaci ci devono accompagnare anche nella fase di ricostruzione che ci attende. Il coronavirus ci ha messo di fronte alla dimensione globale e complessa dei problemi, che è il quadro di riferimento del tema climatico È stato un esperimento sociale imposto, ma ha anche dimostrato che un cambio è possibile. E il cambiamento sta nel diverso rapporto dell’uomo con la natura e con l’ambiente in cui vive».

L’intervista è tratta dal libro “Fare Resilienza” (Altreconomia; 2020); l’immagine di apertura è di themapreport.com

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