Written by 04:52 Cultura

Gian Giacomo Medici nel Duomo di Milano. La storia del suo monumento funebre

di Vincenzo Caminada

Avvolto in una costante penombra, quasi timidamente riparata dagli sguardi dei visitatori più frettolosi, il monumento funerario di Gian Giacomo Medici detto il Medeghino, capitano di ventura vissuto nella prima metà del Cinquecento, si erge composto e solenne nel transetto meridionale del Duomo di Milano, insigne esempio dell’arte sepolcrale del tardo Rinascimento.

Autore dell’opera è Leone Leoni, grande e singolare personalità di scultore, orefice e collezionista, che nella sua lunga e turbolenta vita coltivò in egual misura ambizioni artistiche e condanne per atti di violenza. E forse non è dunque un caso che una delle sue opere migliori sia proprio il monumento a un uomo d’armi spietato e senza scrupoli…

Anzi, lo splendido monumento milanese del Duomo, in verità, permette un’operazione forse curiosa, ma non certo ardita: evocare parallelamente le due vite, quella per l’appunto del Medeghino, marchese di Melegnano, fratello maggiore di papa Pio IV e zio di san Carlo Borromeo, e quella non meno singolare e altrettanto ricca di luci e ombre di Leone Leoni, cavaliere d’Arezzo e imperial scultore. Due vite movimentate, spregiudicate perfino, ma ben adatte a spiegare taluni aspetti della Lombardia del Cinquecento.

L’artista
Già al suo tempo Leone Leoni raggiunse una fama strepitosa, sia per le sue doti artistiche sia per le rocambolesche vicende della sua vita. Una vita violenta e turbinosa, svolta a un ritmo addirittura frenetico, tra fortune clamorose e rovesci disastrosi. Leoni ha spesso aggiunto al suo nome la dizione «di Arezzo», considerandola evidentemente più nobilitante e adatta a un grande artista: in realtà era nato nel 1509 a Menaggio, sopra Como, proprio là dove, per un capriccio del destino, incomincia la sua fortuna quel Gian Giacomo Medici che sarà poi oggetto della sua opera più importante.

Di famiglia molto povera, Leoni si impegna innanzitutto nell’apprendere la difficile arte orafa, ma non è noto dove e con chi abbia svolto il suo apprendistato. Nel 1537, quando ha già 28 anni, lo troviamo a Venezia, dove appare in stretto contatto con alcuni degli artisti e dei letterati allora emergenti, da Tiziano al Sansovino.

L’anno successivo si trasferisce a Roma, dove viene nominato incisore presso la zecca pontificia. Ed è proprio qui che esplode la rivalità, su un piano sia artistico sia personale, con Benvenuto Cellini, di indole altrettanto violenta e focosa: i due giungono più volte a minacciarsi di morte, e Leoni tenta perfino di passare alle vie di fatto.

Condannato ai lavori forzati in una galera pontificia, l’artista comasco trova quindi rifugio a Milano, dove assume l’incarico di maestro incisore al servizio della corte di Spagna, mentre l’imperatore Carlo V lo nomina «cavaliere cesareo», commissionandogli numerose medaglie e sculture.

Nel capoluogo lombardo Leoni vive nella celebre Casa degli Omenoni, un edifico unico per l’originalità della concezione e la bizzarria dello stile, completato dall’artista verso il 1565. Il nome è dovuto alle otto grandi cariatidi, scolpite dallo scultore Antonio Abbondio. Apprezzabile anche il bel fregio sotto il cornicione, con il rilievo della Calunnia, sotto l’aspetto di satiro, sbranata da leoni al centro, e il motivo dei leoni e delle aquile, ai lati.

Casa degli Omenoni a Milano

In questa casa raduna, primo in Milano, oggetti di arte antica e opere di artisti contemporanei, tra cui dipinti del Tiziano e del Correggio, nonché il celebre “Codice Atlantico” di Leonardo. Qui fuse tra l’altro i bronzi del monumento al Medici e i magnifici bronzi funebri di Carlo V e Filippo II per l’Escorial in Spagna.

Il monumento (1560 – 1563)

L’incarico di erigere il monumento funebre di Gian Giacomo Medici fu dato al Leoni dallo stesso papa Pio IV, nel 1559. Ma per lungo tempo si è creduto che il progetto originario fosse di Michelangelo, poiché così sosteneva il Vasari nelle sue Vite. Solo alla fine del secolo scorso si è chiarito l’equivoco sulla paternità dell’opera: il Leoni, infatti, come si intuisce da alcune lettere, si limitò a far approvare i suoi disegni dall’ormai anziano Buonarroti, così come lo stesso pontefice desiderava.

Il monumento al Medeghino nel Duomo di Milano, del resto, si rifà chiaramente ai caratteri stilistici dei modelli michelangioleschi, dalle cappelle medicee di San Lorenzo a Firenze alla tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli a Roma.

Foto ©Archivio Duomo di Milano

In pieno Cinquecento, infatti, la tradizione iconografica del sepolcro rinascimentale si era affermata con una serie di monumenti a carattere prettamente elogiativo e trionfale, orientati a consolidare nei secoli la fama dei committenti: pontefici, alti prelati, principi o potenti in vario grado.

Con questo lavoro Leone Leoni ebbe l’occasione per impegnarsi in una composizione articolata, in cui architettura e scultura si fondono in una struttura unitaria, realizzando un’opera mobilissima, grave ma senza ostentazioni eccessive di compassatezza, elogiativa ma senza sfarzo.

Classico è il frontespizio trionfale, in marmo. Il registro inferiore è spartito da quattro colonne di marmo screziato bianco e nero, inviate allo scultore appositamente da Roma dal pontefice stesso, e da altre due in breccia Macchia vecchia di Arzo. Nel centro, in una nicchia, si erge isolata la statua del Medici, rivestito di un’armatura alla romana.

Il Medeghino con la destra trattiene un lembo del mantello militare, mentre con la sinistra si appoggia a un elmo posato su un tronco d’albero (su cui si arrampica una lucertola, simbolo di chi anela alla luce della Verità e della Giustizia).

La gamba sinistra, spostata in avanti in modo vistoso, ha fatto sostenere ad alcuni che il condottiero fosse in realtà claudicante, cosa ancor oggi incerta. Sta di fatto che l’atteggiamento nulla toglie alla virile immagine del guerriero, colto qui in un momento di riflessione, noto per le sue imprese brigantesche ma dotato al massimo grado di coraggio e audacia.

Ai lati della figura di Gian Giacomo, in due altre nicchie, sono raffigurate, sedute, le allegorie della Pace e della Virtù (militare, s’intende!). Le due sculture, quasi colte in un momento di tristezza, evidenziano, lo sguardo rivolto in basso, il vuoto lasciato dalla scomparsa del Medeghino. Non grida, non lacrime: solo un contenuto, accettato dolore; ed è questa l’unica nota che ci riconduce agli stilemi del monumento funerario.

Due bassorilievi, sempre in bronzo, rappresentano l’Adda e il Ticino (ovvio riferimento ai luoghi che videro le gesta del Medici), mentre, innalzate su due colonne più alte delle precedenti, sono le statue della Prudenza e della Fama. Nella trabeazione vi è un altro bassorilievo in bronzo, con un’Adorazione del bambino. La Sera e l’Alba, personificate da due figure femminili, reggono infine lo stemma del Medici.

Nella parte centrale del monumento, il Leoni aveva previsto di collocare un sarcofago in marmo rosso per accogliere le spoglie del Medeghino, che tuttavia venne eliminato nella fase finale dei lavori. Sappiamo infatti che Carlo Borromeo lo fece rimuovere, attuando le nuove disposizioni emanate dal Concilio di Trento in fatto di sepolture nelle chiese. E chissà cosa pensava, il santo arcivescovo, di questo suo zio così “turbolento”…

Testi tratti da www.chiesadimilano.it e “Milano e laghi”, guida rossa del Touring Club Italiano

(Visited 380 times, 1 visits today)
Close