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Il 15 marzo #coloriamocidililla: Giornata nazionale dedicata ai disturbi del comportamento alimentare

di Elisa Barchetta

Il tema dei disturbi del comportamento alimentare è qualcosa che ormai viene trattato in ambito specialistico ma non solo, tuttavia è pensiero ancora diffuso che sia legato prettamente all’aspetto fisico e all’accettarsi per come si è. Per questo in occasione della Giornata nazionale del fiocchetto lilla dedicata ai disturbi del comportamento alimentare ho deciso di raccontarvi la mia esperienza diretta. Lo faccio non per manie di protagonismo, ma perché penso che spesso alle persone arrivino di più le storie vissute.

Ho iniziato a soffrire di anoressia nervosa senza rendermene conto, pian piano ho cominciato a mangiare meno e a sentirmi sazia prima del solito. Mi era sempre piaciuto il cibo e, come mi sentivo ripetere spesso dalle amiche al mare, avevo la fortuna di non ingrassare. Insomma mangiavo tanto ma restavo col mio peso sano pur facendo mille attività. Non avevo amici dove vivo, mi ero allontanata da quelli d’infanzia perché mi prendevano sempre in giro per il mio aspetto: minuta, senza curve, piatta. Questo mi faceva male, non capivo perché se erano miei amici si divertissero tanto a farsi beffe di me solo perché fisicamente non ero una ragazza tutta curve. Sono stata sola per dieci anni, le mie amicizie vere – quelle a cui non importava se fossi magra, con una quarta di seno o meno, quelle con cui condividevo passioni e divertimenti – erano tutte in Sicilia e potevo vederle solo una volta l’anno. Andava tutto bene, ero forte abbastanza per studiare e aspettare l’estate per uscire e svagarmi. Poi sono subentrati i problemi, personali, familiari e non solo. Ho retto dieci anni, per me e per altri, anche quando non mi sarebbe toccato farlo. Così nell’agosto del 2007 sono crollata, ho raggiunto il peso di 40 chilogrammi e non riuscivo a mangiare più di due forchettate di pasta o ci mettevo due ore per un pezzetto di carne o poco di più. L’unica cosa che mi ha accompagnata costantemente era la mancanza d’aria, come se qualcuno mi afferrasse per la gola e mi tenesse costantemente la mano stretta intorno al collo. Ho cercato aiuto, ma quello che ho trovato all’inizio non è stato sufficiente.

È stato così che, nel 2009, ho detto ai miei familiari che da sola non ce l’avrei fatta e che avevo bisogno di un aiuto più concreto. Mi sono quindi rivolta al servizio di Dietologia dell’ospedale Niguarda di Milano dietro consiglio del mio medico di base. È stato il percorso più difficile che io abbia affrontato: le prime visite mi hanno fatta sentire come se fossi io a non voler stare bene, a non voler guarire e la terapia di gruppo è stata altrettanto faticosa. L’unica cosa che avevo ben chiara era che quella che vedevo allo specchio non ero io e che dovevo tornare a vedere la persona che ero stata. Questo mi ha dato la forza di andare avanti, di affrontare la sensazione di essere un’oca all’ingrasso ogni volta che dovevo pesare il cibo e mangiare sei volte al giorno rispettando la dieta che mi avevano dato; ma anche di tornare alla terapia di gruppo seppure ogni volta uscivo dalla stanza piangendo. E mi colpiva sempre il fatto che le persone anoressiche sembravano sempre più tristi di quelle in carne. Col senno di poi ho compreso come l’aspetto importante di quella strada con le altre era venire a conoscenza delle storie: storie di ragazze come me che avevano problemi di anoressia o bulimia completamente diverse dalla mia, ma tutte con una radice comune.

Anche quando il mondo del lavoro ha provato a schiacciarmi con trattamenti da stupida, mobbing e ricatti ho cercato di resistere e andare avanti per la mia strada, dovevo essere forte anche in quel caso e dimostrare che valevo. Ma sono un essere umano, non sono fatta di ferro, e come tutti ho dei limiti. Ed è più o meno qui che è arrivata la seconda fase del mio percorso, molto difficile ma per fortuna con personale più empatico: stop al lavoro e ricovero in day hospital. Entravo in ospedale la mattina e ne uscivo alle 16.30 dopo aver passato la giornata a leggere, vedere film, fare puzzle, prendere medicine, dormire, mangiare e andare in bagno sempre sotto stretto controllo – che avveniva da finestre sulla stanza o con telecamere nei bagni – e senza cellulare alla mano. Anche in questo caso, tante le storie che ho incontrato, le più disparate, molte decisamente difficili da reggere anche solo dal punto di vista della convivenza forzata dentro uno spazio comune ma limitato. Due le cose che più mi avevano colpita in questa fase: il fatto che i disturbi del comportamento alimentare colpissero sempre di più gli uomini, soprattutto nella fase dell’adolescenza, e che si presentassero anche nei bambini. Vedevo entrare nelle stanze adiacenti bambine di dieci anni con problematiche simili alle mie, io che ormai avevo circa trent’anni.

In ogni caso il percorso ha avuto i suoi frutti e una settimana prima di essere dimessa ho fatto uno schizzo, io che non disegnavo da ormai una ventina d’anni. Ricordo ancora il titolo che la dietologa diede a quella rappresentazione: la Crisalide. Era vero, eravamo tutti delle crisalidi, in fase di evoluzione e crescita. Non eravamo ciò che eravamo stati ma ancora non eravamo esseri completi. E la radice comune era una soltanto; avevamo tutti bisogno di amore. Non intendo dire che mancasse l’amore di una famiglia o di un partner, ma tutti soffrivamo del fatto di non sentirci amati per ciò che eravamo. Ognuno in qualche modo soffriva di un giudizio, autoimposto o che derivava dagli altri. Ognuno di noi aveva tanto Amore dentro da donare, che però veniva soffocato e soffriva della mancanza di un reale Amore da parte degli altri. Per questo c’era chi tentava un “lento suicidio” non mangiando e chi, invece, cercava di riempire un vuoto rimpinzandosi e poi rimettendo tutto.

Quello che mi sento di dire a chi, come me, soffre o ha sofferto di disturbi alimentari è questo: fatevi aiutare da persone competenti e ricordatevi sempre che non siete sbagliati come siete, non dovete corrispondere a nessun canone imposto dall’esterno, siate voi stessi e vogliatevi bene.

Immagine di copertina da Socialnews.it

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