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Il linguaggio della Costituzione

di Maurizio Margutti

Leggete (ma anche no) questo periodo:

Nei  confronti  degli  acquirenti  di  immobili  adibiti  a propria abitazione  ovvero  di  immobili  di  nuova  costruzione  ad  uso  di abitazione  non  di  lusso,  secondo i criteri di cui all’articolo 13 della  legge  2  luglio  1949,  n.  408 e successive modificazioni, e comunque  non  aventi  le  caratteristiche previste per le abitazioni classificate  nelle  categorie  catastali A 1, A 7, A 8, A 9, ubicati nei  comuni  con  popolazione superiore ai 300.000 abitanti secondo i dati  pubblicati  dall’Istat per l’anno 1980 e nei comuni confinanti, nonché’  nei  comuni compresi nelle aree individuate con le modalità previste  dall’articolo  13,  secondo  comma,  del  decreto-legge  23 gennaio  1982,  n.  9,  convertito in legge, con modificazioni, dalla legge  25  marzo 1982, n. 94, e concessi in locazione alle condizioni di  cui  al  titolo I, capo I, della legge 27 luglio 1978, n. 392, il limite  di  lire  4  milioni  di  cui alla lettera c) del primo comma dell’articolo  10  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, e successive modificazioni, e’ elevato a lire 7  milioni  a  condizione  che  la  parte  eccedente detto limite sia costituita da interessi passivi e relativi oneri accessori nonché da quote  di rivalutazione per effetto di clausole di indicizzazione per i mutui indicizzati di cui all’articolo 15 della legge 5 agosto 1978, n. 457, pagati per l’acquisto degli immobili medesimi.

E’ un articolo di una legge del 1982, poi abrogato. Ed è incomprensibile, al pari di molte leggi, decreti, sentenze, circolari ecc., scritti in un linguaggio burocratico oscuro.  Tradotto in italiano corrente l’articolo vuol dire semplicemente che chi ha comprato casa entro il 1983, sotto certe condizioni, può detrarre dalle imposte il costo dei mutui fino a 7 milioni di lire.

Non si creda che la situazione oggi sia migliorata, né che quello citato sia un caso limite. Basta dare un’occhiata alla legge di bilancio 2020, il cui primo articolo è formato da 884 commi, con continui rimandi a norme interne e a leggi precedenti.

Eppure un esempio di alta leggibilità nel corpo giuridico italiano esiste, ed è la Costituzione. Scritta appositamente in linguaggio chiaro, per essere comprensibile alla maggioranza degli italiani, la Costituzione supera sotto questo rispetto tutte le leggi successive, e costituisce ancora oggi un modello da seguire.

In questo articolo viene ripreso e riassunto un saggio scritto sull’argomento da Tullio De Mauro nel 2006, in occasione del 60° della Costituzione, e pubblicato dalla casa editrice Utet. Benché scritto quasi 15 anni fa, il saggio mantiene tutta la sua validità, e il suo messaggio, come si vedrà, è ancora oggi attuale.

La Costituzione appartiene ai documenti con forte polarizzazione pragmatica, afferma l’autore. Cioè a testi di servizio che devono trasmettere i contenuti a chi li riceve, come le istruzioni d’uso, gli avvisi pubblici, le leggi. Essi non si limitano a dare notizie o a trasferire conoscenze su una determinata situazione, ma coinvolgono il destinatario perché questi le utilizzi ai fini regolativi del suo comportamento pratico.

Caratteristica accentuata ancor più nelle leggi, soprattutto quelle a contenuto costituzionale, che servono non solo a regolare i comportamenti del corpo sociale, ma a sollecitare, invitare e ordinare. Sono testi a valore persuasivo e prescrittivo, con forza sanzionatoria.

Quindi per De Mauro, “tanto più efficace è un testo di legge quanto meglio emergano le sue componenti testuali, il suo senso, la sua forza prescrittiva e regolativa, beninteso per chi ne conosca la lingua”.

E proprio qui sta il nodo fondamentale. “Conoscere la lingua in cui il testo è scritto non basta per capirlo”. Le parole di una lingua sono sterminate. Il Grande dizionario italiano dell’uso  (Gradit), curato dallo stesso De Mauro, ne conta oltre 250 mila. Persone di alta cultura ne conoscono circa il 20-25%, molto meno quelle di cultura media o bassa.

Quindi riempire le frasi di parole incomprensibili o usare termini specialistici in ambiti inappropriati non è segno di capacità linguistica, ma solo di incapacità comunicativa. Molto meglio esprimersi nella “lingua di casa”, come sosteneva Dante, insomma il “parla come mangi” del sentire popolare.

Il Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola firma la Costituzione della Repubblica italiana il 27 dicembre 1947

La leggibilità di un testo deriva dall’uso del vocabolario di base e dalla brevità dei periodi. Scritti chiari, sostiene De Mauro, esistono, e ad essi appartiene anche la nostra Costituzione, il cui testo è lungo 9369 parole. Esse sono le occorrenze, le repliche, di 1357 lemmi, dei quali 1002 (il 74%) appartengono al vocabolario di base italiano. Tale vocabolario consta di circa 7000 vocaboli di alto uso e familiarità, quindi di massima trasparenza.  Considerando però la frequenza dei vocaboli di base nelle 9000 e passa parole del testo, la percentuale sale al 92%. E’ una percentuale altissima, rispetto alle leggi italiane e ai testi normativi in genere.

Inoltre le 9369 parole sono distribuite in 480 periodi, con una media di circa 20 parole, con minime escursioni delle frasi intorno a questo valore. Periodi con più di 25 parole sono di difficile lettura; per fare un confronto, l’articolo citato in apertura è di 221 parole.

La convergenza di questi due fattori: alta frequenza dei vocaboli di base e brevità delle frasi, conclude De Mauro, conferiscono al testo della Costituzione un alto livello di leggibilità. Leggibilità però non significa comprensibilità, anche se ne è una necessaria precondizione. La comprensibilità coinvolge la qualità del destinatario e la capacità del testo di trasferire i propri contenuti.

Occorre tenere presente che nel dopoguerra il livello di istruzione degli italiani era molto basso, con ancora alti livelli di analfabetismo funzionale. Orbene, attraverso un’analisi che non è qui il caso di riprendere, De Mauro dimostra che la Costituzione, pur non essendo un testo facile, è ai nostri giorni capace di raggiungere, anche con l’ausilio della lettura assistita e spiegata, tutta la popolazione con licenza elementare.

“Non vi è testo legislativo italiano” afferma De Mauro “che possa vantare una caratteristica di così larga accessibilità”. Perché le leggi italiane, il cui numero nessuno conosce con precisione, sono caratterizzate da lessico non di base, sigle, periodi lunghi, affastellamento di rimandi, emendamenti, sovrapposizioni, contraddizioni, che le rendono di oscura comprensibilità anche per gli addetti ai lavori. E queste caratteristiche si estendono praticamente a tutti i prodotti delle pubbliche amministrazioni.

Uno studio del 1997, condotto su 100 leggi, mostrava che l’uso del vocabolario di base  non superava il 40%, molto lontano quindi dai livelli del testo costituzionale. Gramsci chiamava “neolalismo” questa consuetudine al periodare lungo e complicato presente nella produzione intellettuale italiana.

I costituzionalisti invece misero molta attenzione alla chiarezza dell’articolato. Il testo uscito dalla Commissione dei 75 fu sottoposto a un’accurata revisione, anche sotto il profilo della lingua, prima di andare in aula. Questo processo, e il messaggio che ne deriva, “ha talora stentato e stenta a investire il linguaggio delle leggi e della politica” conclude De Mauro.

Eppure il dibatto sull’accessibilità delle leggi è di lunga data. Già dal 1986 furono emanati, a cura delle due camere e del governo, circolari contenenti regole e raccomandazioni per rendere più chiari e comprensibili i testi legislativi.

Nel 2011 Zagrebelsky propose di inserire in Costituzione queste due norme: Articolo 1: Ogni norma legislativa deve essere formulata in maniera completa, comprensibile e senza rimandi. Articolo 2: L’inosservanza dell’articolo precedente comporta la incostituzionalità della norma.

Non sembra che queste raccomandazioni abbiano sortito molto, a giudicare dai risultati recenti.

Il messaggio della Costituzione, anche sotto il profilo del linguaggio, è dunque ancora ben vivo e attuale. Si accennava prima alla lettura assistita e spiegata, condizione che appare necessaria alla piena comprensione dei contenuti non solo di una legge, ma di tutti i testi normativi, compresi quelli delle amministrazioni periferiche e degli enti locali.

Il comune di Melegnano si appresta a riscrivere lo Statuto comunale, che è un po’ la carta costituzionale della nostra città.

Almeno noi melegnanesi ricordiamoci in quest’occasione dell’insegnamento della Costituzione.

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