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Insegna alla Sorbona, ma sogna la Grecia. Francesca Cominelli: una melegnanese divisa tra Parigi e la “terra degli dei greci”

a cura di Pietro Mezzi

A Melegnano, mamma e papà sono volti noti. Lei, la figlia, lo è un po’ meno, almeno da quando ha iniziato a viaggiare e a trasferirsi prima a Parigi e poi a mettere su casa anche ad Atene, dove alla fine dello scorso luglio 20zero77 l’ha intervistata e dove sta trascorrendo il suo anno sabbatico, dedicato allo studio e alla ricerca.

Lei è Francesca Cominelli, figlia di Rino e di Donatella Bricca, entrambi impegnati a Melegnano in campo sociale e associativo.

È una delle tante giovani che ha lasciato l’Italia (e Melegnano) per intraprendere una brillante carriera universitaria.

A Parigi infatti dal 2015 è professoressa alla Sorbona, dove lavora in un dipartimento, di cui è stata per quattro anni la direttrice, in cui si insegna economia del patrimonio culturale e dove si impara a gestire i beni culturali, a impostare politiche pubbliche legate al turismo e a realizzare progetti turistici sostenibili.

La voglia di viaggiare di Francesca viene da lontano.

«A 17 anni, ancora al liceo, ho avuto la fortuna di stare un anno negli Stati Uniti. Poi, dopo i tre anni in Bocconi, mi sono trasferita a Venezia, dove mi sono laureata in gestione dei beni culturali. Mentre ero lì, era il 2005, ho potuto approfittare di un anno di Erasmus a Parigi. E lì è cominciata la mia avventura parigina. Ho seguito un master e soprattutto i consigli di Xavier Greffe, un economista di fama internazionale che mi ha proposto di diplomarmi in Francia sulle materie che stavo seguendo. Al primo ha fatto seguito un secondo diploma, questa volta a Venezia. La mia formazione è di tipo economico nel campo dei beni e delle attività culturali. In concreto, mi occupo di come possano funzionare le attività culturali dal punto di vista economico, sociale e ambientale e, soprattutto, di come un’attività culturale inserendosi in un territorio sia in grado di trasformare il territorio stesso e le sue vocazioni».

L’approccio di Francesca al tema della gestione dei beni culturali ha un taglio originale.

«Nel lavoro che faccio cerco di mantenere una visione olistica della gestione del bene culturale. In quanto lo considero parte del territorio, non separato da gestire dal punto di vista economico. Infatti, l’approccio della scuola bocconiana non mi convinceva, per questo ho provato Venezia. Ma anche lì, la materialità della proposta non mi si addiceva. Per me, gestire un bene culturale non significa occuparsi unicamente degli spazi, dell’architettura, del contenitore culturale, ma è qualcosa di più complesso».

È così anche in Francia?

«A Parigi lavoro sulla gestione del patrimonio culturale nei suoi aspetti immateriali. Cosa vuole dire? Significa capire come le politiche culturali vengono definite e messe in atto dalle comunità che vivono determinati territori, quali cambiamenti inducono e come tali trasformazioni possano contribuire a salvaguardare il patrimonio e a trasmetterlo alle generazioni future, nelle sue forme materiali e immateriali. È un’operazione complessa che presuppone un lavoro diretto con le persone e con loro decidere come proteggere il bene e come comunicarne l’esistenza all’esterno».

Inaugurazione dell’anno accademico, Parigi, settembre 2017 (foto, © Michel Tiard)

Quindi, l’approccio nostro ai temi culturali è differente da quello francese?

«Non si tratta di questo. Per me è stato un caso. Mentre mi trovavo a Parigi ho iniziato a collaborare con un’associazione che, per conto del ministero della Cultura, si occupa della promozione delle arti e dei mestieri. Ho girato la Francia a censire le botteghe artigiane alla ricerca dei mestieri cosiddetti rari. Mi sono appassionata alle storie delle persone e del loro lavoro. Da lì mi sono interessata a queste attività, che l’Unesco definisce patrimonio culturale immateriale. Poi ho seguito un dottorato di ricerca e infine vinto un concorso come professore associato, in un istituto della Sorbona che si occupa anche di politiche culturali in chiave turistica. Insegno materie come economia del patrimonio culturale, politiche pubbliche per la gestione del patrimonio, economia del turismo, management di progetti turistici sostenibili».

E la Grecia che posto ha nella tua vita?

«Un posto importante. Adoro la Grecia. Non a caso l’ho scelta per il mio anno sabbatico. Da quando l’ho scoperta e approfondito la sua cultura, sogno un giorno di poterci vivere, magari su un’isola. Sto imparando il greco e in futuro mi piacerebbe poter fare ricerca qui. Intanto, mi accontento di questi mesi di distacco dall’insegnamento e qui sto conducendo delle ricerche per esplorare le tradizioni locali e i mestieri artigianali. Ho preparato alcuni progetti di ricerca, uno dei quali, a Creta, è stato finanziato. Per cui il prossimo anno sarò anche lì. Sto cercando di conciliare il mio lavoro, a Parigi, con un posto, la Grecia, dove mi sento immersa nella cultura, a contatto con i suoi abitanti e con la natura. Qui ho anche imparato a produrre l’olio».

E il legame con Melegnano?

«Il legame rimane. Lì c’è la mia famiglia, con cui ho un rapporto forte. A causa della crisi sanitaria gli spostamenti verso casa si sono ridotti, ma ogni tanto torno e ritrovo i tanti amici che vivono lì. Alle volte è la mia famiglia a viaggiare: a loro faccio scoprire i luoghi in cui mi trovo. Con gli anni, anche mia mamma è diventata un po’ parigina».

Ma la tua casa qual è?

«Parigi è il nido dove so di poter tornare e sentirmi protetta. La Grecia, e le isole in particolare, sono la mia “terra madre”. Qui, mi sento bene, con le persone e con la natura circostante».

E il futuro tuo come lo vedi?

«Non penso a un futuro a lungo termine. Sto cercando di costruire un equilibrio tra Parigi, che rappresenta il lavoro, e la Grecia, che per me significa stare bene. E ogni tanto, con i miei spostamenti, passo per l’Italia e torno a Melegnano. Non sono spostamenti molto sostenibili, i miei, ma per il momento è così».

Progetti in corso?

«Sto lavorando a un progetto europeo in Libano, sullo sviluppo di strategie sostenibili per il turismo in una cittadina, Anfeh, a nord di Beirut. Un luogo particolare. È una riserva naturale, conosciuta sin dall’antichità per la produzione di sale, dichiarata tale dagli stessi abitanti del luogo: una prerogativa concessa dalle norme statali. L’idea è nata dopo il blocco di un insediamento turistico e dalla necessità di preservare la riserva e al tempo stesso di offrire forme di sviluppo differenti da quelle proposte in origine. Il compito mio è anche quello di far dialogare le istituzioni e gli attori locali, spesso in conflitto. Sarò lì come consulente e lavorerò con un’associazione internazionale, Gaia Heritage, che realizza progetti culturali in Libano e all’estero».

Due parole sul castello di Melegnano…

«Melegnano ha una grande fortuna, rappresentata dal castello. Un monumento che poche realtà del sud Milano possiedono. È un ruolo, quello che il castello svolge e che potrebbe ancor di più svolgere, importante, di creazione culturale, di incontro sociale. Nella sua valorizzazione anche qui partirei dalla comunità locale. E credo che prima di tutto sia necessario mettere in campo la capacità di raccontare questo patrimonio, non solo nei suoi aspetti storici, ma sociali, umani. Offrire uno storytelling nuovo. Poi si tratta di pensare al riuso di alcune sue parti oggi non utilizzate in termini di adaptive use, usi adattativi, con attività, anche temporanee, capaci di dare un senso al bene storico. Penso a laboratori artistici residenziali, in cui si fa cultura al servizio della comunità. Modalità queste che hanno dimostrato di saper funzionare, in Francia come da altre parti. Un modo per far rivivere il monumento e aiutare la creatività dei giovani artisti. Penso a incubatori in cui start-up culturali possano esprimersi, crescere e allo stesso tempo far crescere la cultura del luogo. Sempre con il coinvolgimento della comunità locale».

In apertura, Francesca Cominelli (foto, © Claudia McHillis)

Nelle foto, missione di ricerca sul patrimonio culturale delle saline di Anfeh, Libano, agosto 2021 (foto, © Georgi Sessine)

 

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