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La povertà nella diocesi ambrosiana. I dati dell’Osservatorio

di Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana

Nel corso del 2020, le misure assunte per rallentare la corsa del Coronavirus hanno avuto uno spiacevole effetto collaterale: l’aumento delle persone incapaci di provvedere ai loro bisogni primari e che hanno chiesto aiuto alla Caritas per fare la spesa, pagare le bollette del gas e della luce, l’affitto, la rata del mutuo e per non stare sole.

Gli “impoveriti da Covid”, come vengono definiti con un termine sbrigativo ma in ogni caso efficace, si sono aggiunti alle persone gravemente emarginate e ai poveri cosiddetti cronici.

Sono entrate a far parte di questa nuova categoria di disagiati molte vittime della Grande Crisi del 2008. Uscite allora dal mercato del lavoro, non ci erano mai più entrate ma erano riuscite nel frattempo a rimanere a galla aggrappandosi alle opportunità offerte dal sottobosco dei “lavoretti” precari o in nero.

Parcheggiatore abusivo, idraulico, imbianchino e all’occorrenza elettricista, colf e badante in nero. Una varietà di attività improvvisamente spazzate via dal primo lockdown, ma che il Covid-19 si è incaricato di farci sapere quanto fossero fondamentali

per un numero non piccolo di persone persino nella capitale economica del Paese.

In altri casi chi è stato messo con le spalle al muro dal blocco delle attività economiche, invece, un lavoro vero e proprio ce l’aveva. Ma lo stipendio reale che percepiva al netto degli straordinari, magari pagati fuori busta, era in realtà molto misero, al limite della sussistenza.

Cosicché quando è arrivata la cassa integrazione (spesso con un clamoroso ritardo), si è ritrovato con un pugno di mosche in mano. È quello che è successo, per esempio, a tanti camerieri, cuochi, lavapiatti, custodi di albergo. Lavoratori poco qualificati, ma che avevano trovato, specie a Milano, in queste mansioni una chance di integrazione.

Che è stata non solo economica, ma anche sociale per tanti immigrati che negli anni, proprio grazie a questi lavori, erano riusciti ad inserirsi, magari anche a ricongiungere le famiglie, facendo arrivare dai propri Paesi di origine mogli e figli. Infine si sono aggiunti ai bisognosi di assistenza coloro che a dispetto del blocco dei licenziamenti, il lavoro lo hanno già perso.

Lavoratori ai quali le aziende non hanno rinnovato i contratti a termine durante il lockdown di primavera o quello “a geometria variabile” dell’autunno del 2020. In genere professionisti nei settori degli eventi o dello spettacolo, anche della salute e del benessere.

Settori che sono stati prosciugati in questi mesi lasciando a terra chi vi era impiegato in condizioni più precarie. Persone spesso giovani: dai montatori dei palchi agli addetti alle luci; dal fisioterapista all’istruttore in palestra.

È in questo contesto che si inserisce il rapporto sulla povertà dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse di quest’anno: i dati relativi alle persone incontrate nel corso del 2020 dai centri di ascolto e dai servizi SAM (Servizio accoglienza milanese), SILOE (Servizi integrati lavoro orientamento educazione), SAI (Servizio accoglienza immigrati) di Caritas Ambrosiana ci dicono che le persone bisognose di aiuto sono state 12.461.

 

 

 

 

 

 

 

Tuttavia, se dovessimo rendere conto del numero di persone effettivamente incontrate dai volontari e operatori dei centri e servizi Caritas durante la pandemia e di tutto il lavoro realmente compiuto, questo dato sarebbe molto più alto, perché bisognerebbe considerare anche le famiglie aiutate attraverso altri strumenti attivati nel periodo dell’emergenza e anche di quelle che i centri Caritas hanno sostenuto in collaborazione con altri soggetti del territorio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A mo’ di esempio, tra gli altri, andrebbero aggiunti i seguenti dati:

  • 857 persone inviate dai centri di ascolto del campione dell’Osservatorio al progetto del Comune di Milano “Spesa 7 Giorni”, i cui passaggi non sono stati registrati sulle schede colloqui;
  • 2.039 domande approvate nel 2020 dal Fondo San Giuseppe, istituito per aiutare le persone in difficoltà a causa dei problemi lavorativi legati al Covid-19;
  • non si possono poi non considerare le 1.006 tessere di emergenza rilasciate direttamente alle famiglie bisognose dagli Empori, che, per far fronte all’emergenza, sono state concesse alle persone in difficoltà senza rispettare la normale procedura che

prevede l’invio degli utenti agli Empori dopo la registrazione da parte dei centri di ascolto.

  • infine, le restrizioni imposte dai provvedimenti governativi, soprattutto nei primi mesi della pandemia, hanno richiesto la rimodulazione dell’attività anche ai servizi Caritas, con un’inevitabile ricaduta sulla registrazione dei dati. L’esempio del SAI, i cui dati quest’anno risultano in calo all’interno del Rapporto, è emblematico: durante la chiusura (marzo-aprile 2020) il servizio ha svolto attività da remoto, attraverso 350 ascolti telefonici, che nel corso dell’anno, quando è stato necessario introdurre gli ascolti su appuntamento per evitare il sovraffollamento presso i locali del servizio, sono diventati più di 7.000. Si è trattato per il 50% dei casi di consulenze legali, soprattutto in concomitanza della fase di emersione dal lavoro irregolare (1° giugno – 15 agosto), quando al SAI hanno fatto riferimento i lavoratori interessati, i datori di lavoro e i centri di ascolto.

Questi sono solo alcuni dei dati sfuggiti all’indagine qui presentata, di cui però è giusto tenere conto, perché danno l’idea delle risorse messe in campo, dell’impegno e delle fatiche che gli operatori e i volontari Caritas hanno affrontato nei lunghi mesi della pandemia.

L’aumento vorticoso delle richiese di aiuto alla Caritas Ambrosiana ha ridisegnato gli identikit dei bisognosi di assistenza, mettendo in piena luce il popolo che viveva nel retrobottega della Milano da vetrina dei successi, dei primati, delle eccellenze. Una Milano di cui siamo andati fieri e grazie alla quale aveva trovato cittadinanza anche l’altra, quella più fragile, che però ha risentito più duramente dei colpi della crisi economica innescata dall’emergenza sanitaria.

Tuttavia, in vista dei prossimi mesi che potrebbero rivelarsi ancora più duri sul fronte sociale, la questione con la quale occorre fare i conti è se possiamo accontentarci di un modello di sviluppo che accresce i patrimoni nelle mani di chi già li possiede, e lascia a chi ha nulla o poco di più, le briciole delle briciole.

L’illusione che la trasmissione della ricchezza avvenga dai piani alti a chi sta in basso per “sgocciolamento” cioè per forza d’inerzia, come ci dice anche papa Francesco nella sua ultima enciclica “Fratelli tutti”, è giunta davvero al capolinea.

Occorre un’alleanza che insieme al terzo settore, le istituzioni, le imprese, le banche coinvolga anche gli ultimi. Perché è a partire dagli ultimi che capiamo che cosa veramente serva per cambiare le cose per tutti, nessuno escluso.

Il Rapporto è stato realizzato dall’Osservatorio diocesano delle povertà e delle risorse di Caritas Ambrosiana, un gruppo di ricerca coordinato da Luciano Gualzetti e costituito da Elisabetta Larovere, Meri Salati, Annalisa Suigo.

 

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