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La Vettabbia “flumen mediolanensis”. Storia e attualità di un corso d’acqua

di Marco Leoni

Milano è l’unica, tra le grandi città della storia europea, che non nasce su un grande fiume. Eppure Stendhal all’inizio dell’Ottocento la descrive come una piccola Venezia, fatta di canali che la solcano praticamente in ogni via.

Ho provato un giorno a colorare con un pastello azzurro i vari reticoli idrici della mappa di Giovanni Brenna del 1860 ottenendo un intreccio di linee fittissime, soprattutto nella zona compresa tra la cerchia interna medioevale e le mura spagnole.

Il territorio milanese infatti è da sempre percorso da numerosissimi corsi d’acqua: il Lambro ad est, il Seveso a nord, l’Olona e il Nirone ad ovest e tante altre rogge e torrenti a essi collegati. L’elemento acqua è la condizione essenziale che ha spinto milioni di persone ad abitare durante i secoli questa pianura.

I Lombardi hanno poi provveduto nel tempo a modificare questi corsi d’acqua e a crearne di nuovi per irrigare, trasportare e muovere i numerosi mulini di cui era ricco il nostro territorio. Nel corso dei secoli sono state create vere e proprie autostrade d’acqua ed è inutile dire che, per la sua posizione, Melegnano, che oggi rappresenta il più importante casello autostradale di ingresso a Milano, costituiva in epoca antica il più importante snodo per il sistema idrico.

Nel nostro territorio scorrono tre storici corsi d’acqua: il Lambro, che tutti conoscono, il Redefossi, cavo artificiale creato per accogliere l’acqua del Naviglio della Martesana e del Seveso, e infine la Vettabbia da molti sottovalutata e trascurata, ma importante fiume navigabile in epoca romana.

La confluenza della Vettabia nel Lambro (foto ©Adriano Carafòli)

La mia storica passione per i corsi d’acqua milanesi mi ha portato negli ultimi anni a occuparmi proprio della Vettabbia.

Ho però riscontrato diverse difficoltà nel ricostruirne la storia. Le fonti sono poche. La credenza generale è che si tratti di un canale artificiale creato dai romani come mezzo di navigazione verso il Lambro e quindi, di conseguenza, verso il Po.

Nelle poche fonti che ho trovato si cita spesso quest’origine totalmente romana, che però non mi ha mai convinto fino in fondo.

Pensiamo alle grandi opere idrauliche artificiali costruite durante i secoli sul territorio lombardo come i Navigli, la Muzza, il Villoresi: tutti come canali rettilinei.

Torrenti e fiumi presenti in Lombardia si muovono invece seguendo e adattandosi al territorio e creandosi nel corso dei secoli un percorso fatto di anse e curve.

Le stesse anse e curve che troviamo nel percorso della Vettabbia che non può quindi essere un canale totalmente artificiale.

Osservatela sulla sinistra dalla via Emilia appena fuori dal centro abitato di Melegnano. Striscia sinuosa come un serpente verso il Redefossi e poi verso il Lambro. Consiglio a tutti di ammirarla durante il tramonto quando le sue acque si colorano di rosso e di oro.

Concentriamoci ora sulla sua toponomastica.

Secondo Landolfo Seniore, storico vissuto nel secolo XI, deriverebbe dalla parola latina vectabilis (“trasportabile, capace di trasportare”) perché al tempo dei Romani era navigabile e “unito al Po per mezzo del fiume Lambro, offriva alla nostra città (Milano) tutte le ricchezze d’oltremare”.

Sappiamo che i romani realizzarono le prime opere idrauliche del territorio lombardo e milanese. Per esempio deviarono il corso del Seveso per poter sfruttare le sue acque nel centro abitato, soprattutto per fornire acqua alle terme Erculee volute dall’imperatore Massimiano verso la fine del III secolo e posizionate più o meno nell’attuale piazza San Babila.

Sappiamo inoltre che deviarono le acque del torrente Nirone a nord ovest, sempre con lo scopo di aumentare la portata d’acqua all’interno delle mura della città romana.
Tutti conoscono l’andamento di fiumi e torrenti del territorio lombardo.

Si muovono dalle montagne situate a nord fino a gettarsi nel Po a sud. I corsi d’acqua si possono deviare, ma il deflusso delle loro acque continua, non possono fermarsi a Milano, devono continuare lungo il loro percorso a valle.

Il Seveso deviato dai romani verso il centro si divide in due rami. Una parte prosegue verso sud più o meno nella zona dell’attuale via Pantano, ricalcando il percorso dell’attuale Redefossi, che poi giunge come sappiamo a Melegnano. L’altra prosegue verso ovest alimentando il fossato delle mura difensive e incrociando probabilmente quel che resta delle acque del Nirone.

Questa deviazione prese il nome di Grande Seveso e alimentava un’ansa paludosa dietro la Basilica di San Lorenzo.

Questa grande quantità di acqua che recuperava tanti altri canali della zona doveva poi in qualche modo proseguire il suo percorso verso sud e credo sia ammissibile ipotizzare che per farlo utilizzasse l’alveo originale del Nirone verso le campagne di Morivione e Nosedo, a nord di Chiaravalle, per poi proseguire verso San Giuliano e Melegnano, sfruttando il vecchio alveo naturale del fiume Seveso.

Garzette lungo la Vettabia (foto Adriano ©Carafòli)

I romani abili costruttori probabilmente modificarono in parte il percorso originale proprio per rendere “vectabilis” il corso d’acqua.

Recentemente ho percorso più volte la Vettabbia da Melegnano a Milano e mi risulta abbastanza evidente questo incrocio tra esigenze dell’uomo ed esigenze della natura.
Non posso approfondire il tema in questo articolo ma mi riservo di farlo in un itinerario che sto studiando.

Voglio però evidenziare nella millenaria storia della Vettabbia e delle varie deviazioni subite nel corso dei secoli la presenza di numerosissimi mulini ad acqua lungo il suo percorso che avevano grande rilevanza dal punto di vista economico nel territorio a sud di Milano. Oggi rimangono pochi resti, ma numerose testimonianze, anche scritte, di questa attività.

Un vecchio mulino abbandonato (foto Marco Leoni)

Segnalo in particolar modo il mulino Vettabbia in zona Ripamonti, il mulino di Chiaravalle presso il parco della Vettabbia e ciò che rimane del mulino Torretta nel territorio di San Giuliano, la cui presenza è probabilmente più antica di quella dell’abbazia di Viboldone.

Ormai ridotto a rudere si collocava in una posizione strategica tra la via Emilia e la roggia Vettabbia, al centro di un ricco territorio agricolo formato da numerose cascine. Recentemente Italia Nostra si è occupata del Mulino Torretta anche attraverso la consulenza del professor Silvio Fiorillo, mettendo in evidenza la sua funzione originaria di edificio di avvistamento e controllo (il nome Mulino Torretta deriva proprio da qui).

La Vettabbia (foto di Marco Leoni)

Purtroppo nella Milano moderna non possiamo più vedere la fonte della Vettabbia, nelle vicinanze della Basilica di San Lorenzo, dove interrata sotto l’attuale via Santa Croce riceve le acque di quel che resta della vecchia cerchia interna dei navigli e in particolare del canale Molino delle Armi, del canale della Vetra (che dà il nome alla moderna piazza) e del Fugone del Magistrato.

Possiamo invece a pochi passi dal centro abitato di Melegnano, all’interno dell’oasi Wwf del Montorfano, ammirarla in tutto il suo splendore mentre termina la sua corsa millenaria nel fiume Lambro.

In apertura, la Vettabia a nord di Melegnano (foto ©Adriano Carafòli)

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