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Non piove, governo ladro!

di Roberto Silvestri

L’espressione “piove, governo ladro!”  […] si ripete comunemente per satireggiare l’abitudine diffusa di dare la colpa di ogni cosa al governo, talora anche come espressione di sfogo polemico. È stata creata dal caricaturista Casimiro Teja, direttore del giornale Il Pasquino (1861), a commento del fallimento, causato dalla pioggia, di una dimostrazione di mazziniani a Torino. La vignetta raffigurava tre dimostranti che si riparavano dalla pioggia sotto un ombrello e uno di loro esclamava il motto di protesta.

Questo ho scoperto sul sito della Treccani.

Mi era venuta in mente quell’espressione leggendo un articolo (qui il link) a firma di Carlin Petrini sull’allarme siccità in Piemonte. In realtà la avevo pensata a rovescio: Non piove, governo ladro, avevo pensato.

A rifletterci bene, non si trattava di sfogo polemico. Il governo italiano e i governi di tutti gli stati stanno rubando alle nostre discendenze il futuro e a noi un presente più vivibile. Questo vale anche per i governi passati e per molti amministratori locali.

Assistiamo da lungo tempo a fenomeni atmosferici che chiamiamo “estremi” ma che si ripetono con una frequenza sempre maggiore.

Da molti anni gli scienziati ne hanno individuato le causa, il cambiamento climatico – causato dalle nostre insane abitudini, e suggerito la cura: rispettare la natura e smetterla di ricercare una crescita infinita in un mondo che ha sempre più evidenti confini naturali.

Abbandonata la Treccani sono andato a sbirciare sul sito della Regione Piemonte, per capire meglio il problema della siccità. Non pioveva da 60 giorni e già l’anno precedente la situazione era precaria: secondo l’Autorità di bacino del Po i sei mesi dal 1° marzo al 2 settembre 2021 sono stati più aridi dal 1961.

Ma lì ho scoperto anche un’altra cosa, l’elenco degli eccezionali eventi meteorologici verificatesi nel territorio piemontese nel biennio 2019/2020.E questi eventi erano alluvioni.

Le chiamano calamità naturali anche se di naturale non hanno nulla, dietro ritroviamo sempre la mano colpevole dell’uomo. Non che Madre Natura non possa, a volte, essere matrigna ma questi eventi atmosferici estremi sono originati da noi e aggravati dall’incuria con cui gestiamo il territorio.

Questi fenomeni, le bombe d’acqua o, come nella nostra zona, i cicloni, provocano enormi danni, sia economici sia in vite umane.

Il clima sta cambiando; come si usa dire non ci sono più le mezze stagioni e le alluvioni si alternano con la siccità.

Già dal lontano 1977 una Conferenza delle Nazioni Unite sulla desertificazione fotografò lo stato di salute del nostro pianeta e propose un piano d’azione; dopo 14 anni dovette constatarne il fallimento: ad eccezione di piccoli miglioramenti in alcune zone la desertificazione stava crescendo.

Il Po a Trino Vercellese nel 2003 – Foto di © Fabrizio Farinelli da Centro Meteo Lombardo

Ora, non dobbiamo immaginarci da noi un paesaggio come quello del Sahara. In base alla definizione della Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sulla lotta alla Siccità e Desertificazione, la desertificazione è un processo di degrado dei terreni coltivabili in aree aride, semi-aride e asciutte sub-umide in conseguenza di numerosi fattori, comprese variazioni climatiche e attività umane.

Non avremo dunque il Sahara in Pianura Padana ma diminuirà la fertilità del nostro suolo e dunque di nostra capacità di produrre cibo. E avremo carenza di acqua.

Forse i non più giovani ricorderanno la torrida estate del 2003, quando Lombardia ed Emilia-Romagna iniziarono a litigare per salvare le produzioni agricole del loro territorio, contendendosi la poca acqua che scorreva nel Po.

Si pensava che l’emergenza Covid avesse reso ancor più evidente quanto stretto sia il nostro rapporto con la natura e stimolasse una riflessione sui nostri comportamenti sociali ed economici.

Si sperava che i soldi arrivati dall’Europa venissero usati principalmente per ridurre l’impatto sul cambiamento climatico e potessero servire anche a rimettere il sesto il nostro disastrato territorio.

La scelta invece, come sempre in passato, è stata la difesa della sacralità del PIL, la crescita infinita, a qualunque costo.

Già il nome scelto, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, avrebbe dovuto farci sospettare; quel nome ci dice che l’economia tornerà a crescere e che saremo capaci di ritornare a quella perversa normalità interrotta dalla pandemia.

Niente di nuovo sotto il sole: via alle grandi opere, spese militari + 20% rispetto al 2019, (la spesa sanitaria, nonostante i costi legati al Covid, cresce solo del 7%). L’aumento delle spese militari in questi giorni di guerra dovrebbe farci riflettere su quale futuro si sta costruendo.

Come è possibile che un amministratore resti sordo all’allerta degli scienziati sapendo i danni che può causare? Quante volte può un uomo girare la testa facendo finta di non vedere[1].

Purtroppo, siamo amministrati da persone incapaci di cercare nuove strade o a cui manca il coraggio di percorrerle. La banalità al potere.

È più facile lasciarsi trascinare dalla corrente, oltretutto questo consente, spesso e più agevolmente, di mantenere la propria poltrona.

Certo, alcuni principi, tra questi la tutela dell’ambiente, devono essere affermati perché ormai sono concetti diffusi, ma poi si possono lasciare nel cassettino del cervello che contiene i valori inutili.

Anche nel piccolo del nostro comune ci scontriamo con questa logica: distruggiamo pure il verde sull’area San Carlo, sigilliamo il suolo a Cascina Bertarella, devastiamo pure il territorio perché arriveranno un po’ di soldi. Così, magari, mi rivotano.

Quando mai impareranno [2]  mi chiedo. E ancora: cos’è più scandaloso: se la provocatoria ostinazione dei potenti a restare al potere, o l’apocalittica passività del paese ad accettare la loro stessa fisica presenza.[3]

Immagine di copertina: Il PO nel 2003 – Foto di © Angelo Borella da Meteo Codogno.it

[1] Bob Dylan Blowing in the wind

[2] Pete Seeger Where have all the flowers gone

[3] Pier Paolo Pasolini Scritti Corsari

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