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Pandemia, è il momento di cambiare

di Alessandro Arioldi  
                                

 

La pandemia da Covid-19 sta facendo vivere all’intera umanità un periodo molto particolare e per milioni di persone veramente tragico. Il dopo pandemia ci pone di fronte ad un bivio importante: dobbiamo riprendere la nostra vita e tornare alle consuete abitudini o costruire un’alternativa più consapevole?

Molti di noi hanno maturato la percezione che la normalità, probabilmente, è diventata il problema ed è necessario intraprendere un’altra strada più virtuosa, che abbia un diverso impatto sull’ambiente.

Nella prima fase dei contagi si è constatato che durante la pandemia le zone con il più alto numero di contagiati e di decessi, sono zone ad elevato tasso di inquinamento atmosferico, come la città di Wuhan nell’Hubei in Cina e nelle zone ad alta industrializzazione della Lombardia, che non a caso è risultata essere la regione più colpita in Italia dalla trasmissione pandemica.

Pur non essendoci ancora studi che confermino la possibilità di un’associazione diretta tra la diffusione del virus, la sua aggressività e l’inquinamento atmosferico, dobbiamo comunque considerare che l’Agenzia Ambientale Europea nel report 2019 aveva già stimato per l’Italia almeno 60.000 morti premature per esposizione alle polveri sottili; nasce quindi spontanea la riflessione che questi dati avrebbero comunque dovuto preoccuparci e creare allarme già da diverso tempo ed essere tra i primi punti dell’agenda politica.

Bisognerà anche seriamente riflettere sugli strumenti che avevamo a disposizione per gestire la pandemia; situazione eccezionale certo, che però ha evidenziato i limiti della politica sanitaria nazionale, in particolar modo di quella lombarda e soprattutto ha messo in risalto l’insostituibilità della sanità pubblica, specialmente in situazioni emergenziali.

Il tanto incensato “modello sanitario lombardo” ha mostrato la sua ipocrisia e ingannevolezza, con tutte le mancanze organizzative e le incapacità gestionali dimostrate da una classe politica che ha trasformato la sanità pubblica in Lombardia, concedendo al privato sempre maggiori agevolazioni e possibilità di profitto, amministrando da più di un ventennio con arroganza e collusioni affaristiche.

La gestione delle nomine dei direttori generali delle aziende pubbliche, derivando da scelte politiche della Regione, ha confermato l’esistenza di una sorta di neocentralismo su base regionale, che non consente autonomia alle strutture pubbliche del sistema; cosicché in Lombardia, mentre si combatteva il centralismo statalista, si realizzava un centralismo regionalista.

Risulta quindi necessario un altro modello organizzativo con il ripristino della territorialità relativa al determinante ruolo dei medici di base. È anche evidente che ci deve essere un’inversione di tendenza a livello governativo, dove si devono abbandonare le politiche di tagli indiscriminati che hanno sempre più colpito i pilastri del nostro sistema societario, quali devono rimanere la sanità e l’istruzione.

È evidente che diventa una questione di scelte e priorità che chi governa dovrebbe adottare per il bene della collettività, indipendentemente dal credo politico e religioso di coloro che, giurando sulla nostra Costituzione, si impegnano a prendere decisioni che dovrebbero essere il più distante possibile da interessi personali o di parte. Quindi, per quanto riguarda la destinazione di finanziamenti statali, per soddisfare le esigenze nazionali di cui sopra, non ci dovrebbero essere dubbi e invece ogni volta ci sono enormi discrepanze e incolmabili disequilibri.

L’Italia, che in dieci anni ha tagliato 37 miliardi alla sanità pubblica con conseguente perdita di 70mila posti letto e fatica nella ripartenza delle scuole nel dopo lockdown, spende almeno 70 milioni di euro al giorno per le sue forze armate.

Uno scenario alternativo dal punto di vista economico potrebbe perciò essere che le catastrofi possano liberare le risorse oggi destinate ai conflitti, per riconvertirle in quei canali virtuosi che possono contribuire a un’impostazione più razionale e responsabile.

Nel corso di questi ultimi decenni si è giunti a teorizzare una pedagogia delle catastrofi, per cui paradossalmente, gli uomini potrebbero cambiare se e solo quando colpiti direttamente da eventi altamente stressanti tali da costringerli a ricercare vere e proprie conversioni dei loro stili di vita e di pensiero.

Assistiamo a un fenomeno particolare, di totale inversione paradigmatica: dal “sapere di non sapere” socratico, al “non so di sapere”, l’ignoranza consapevole, ossimoro divenuto uno slogan vincente che contribuisce all’affermazione di mezze verità, di pseudo-teorie mai scientificamente provate e irrazionali scenari basati sul negazionismo climatico.

I segnali sono molti in cui si evidenzia che i fattori di sfruttamento indiscriminato arrecano forti squilibri al nostro delicato ecosistema, che è ormai a carenza di risorse e al limite del collasso.

Non lasciamo che questa devastante esperienza Covid sia stata vana; impariamo ad apprezzare e rispettare il nostro Pianeta fino in fondo, molto più di quanto non siamo riusciti a fare finora, perché siamo tenuti a consegnarlo alle generazioni future, come noi l’abbiamo ricevuto in eredità dalle precedenti.

Dovrebbe diventare una sorta di comandamento laico che dovremo imparare a rispettare tutti, credenti di tutte le professioni religiose, atei e agnostici, se intendiamo perpetuare la permanenza del genere umano sulla Terra.

Altrimenti ci estingueremo, ma molto informati!

 

Photo credit © 2020 fotografia di Adriano Carafòli

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