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Rino figlio unico di Aida

di Alessandro Arioldi

A marzo, durante il confinamento, era diventata consuetudine trovarsi a una certa ora del pomeriggio, sui balconi o affacciati alle finestre di ogni condominio, e intonare un brano più o meno conosciuto da tutti, per ricreare quella sorta di vicinanza e di solidarietà di vicinato che la pandemia ci aveva provvisoriamente tolte.

Tra le canzoni più gettonate ce n’era una dal testo piuttosto estroso e un’aria orecchiabile che dava quel senso di allegra evasione, Ma il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano, che nel mese di maggio è stata incisa da un gruppo di artisti italiani in adesione a un progetto benefico di raccolta fondi a supporto della Croce Rossa Italiana, tra loro anche Alessandro Gaetano, nipote di Rino.

Salvatore Antonio “Rino” Gaetano, da Crotone si era trasferito a Roma giovanissimo e aveva iniziato ad alternare lo studio a musica e teatro, interpretando la volpe nel Pinocchio di Carmelo Bene e cominciando a esibirsi al famoso Folkstudio, in quei primi anni ’70 frequentato tra gli altri anche da De Gregori e Venditti.

Viene così scoperto da un importante produttore dell’epoca, quel Vincenzo Micocci che nel ’78 fu l’ispiratore delle invettive di un infuriato Alberto Fortis, al quale il talent-scout aveva negato un’audizione e che furono tradotte nei brani, Milano e Vincenzo e A voi romani.

Nel ’74 esce il primo album di Rino, Ingresso libero che però, non calamita l’attenzione di pubblico e addetti del settore, probabilmente per il suo particolare approccio, apparentemente scanzonato e leggero, in un periodo di “canzone impegnata”, che lo pone in posizione disallineata al cantautorato degli impetuosi anni ’70.

Ancorché non sia mai stato inserito in nessuno dei suoi sei album, Ma il cielo è sempre più blu finalmente cattura l’attenzione alla sua uscita nel 1975; inizialmente divisa in due parti, probabilmente per la durata eccessiva per il solo lato del 45 giri, poi dispiegata nella versione extended di 8 minuti e 20 che tutti conosciamo.

Il testo evidenzia la tipica peculiarità compositiva di Rino Gaetano, che diverrà il suo tratto caratteristico, per la sua sottile ironia, il suo amore sincero per la vita, la sua cortese ma ferma denuncia: “Chi vive in baracca / chi suda il salario / chi ama l’amore chi sogni di gloria / chi ruba pensioni / chi ha scarsa memoria”.

L’anno successivo, l’uscita di Mio fratello è figlio unico il secondo album, attribuisce il giusto riconoscimento al cantautore calabrese, che si esprime con romanticismo e scanzonato realismo, con testi divertiti ma mai banali e arrangiamenti particolarmente originali e decisamente brillanti.

La title-track è un’appassionata ballata che esprime affetti familiari e denunce sociali, con un testo tra i più ironici ed incisivi di quegli anni, tra frasi di apparente nonsense e velatamente sarcastiche: “Mio fratello è figlio unico perché è convinto che nell’amaro benedettino non sta il segreto della felicità / perché è convinto che anche chi non legge Freud può vivere cent’anni / perché è convinto che esistono ancora gli sfruttati malpagati e frustrati / e non ha mai criticato un film senza prima, prima vederlo / Mio fratello è figlio unico sfruttato represso calpestato odiato”.

Il suo spiazzante anticonformismo, fortunatamente non impedisce la sua partecipazione al Festival di Sanremo, a cui decide, a dire il vero poco convintamente di partecipare, probabilmente per poter essere conosciuto da un più ampio e variegato pubblico e ciò avviene nella 28^ edizione, quella del 1978.

Sul palco del teatro Ariston si presenta in frac, camicia a righe, cilindro, scarpe da ginnastica e ukulele divertendo con la sua stravagante Gianna e riuscendo a classificarsi al terzo posto, dietro ad una esordiente Anna Oxa in versione punk e al pop leggero dei veterani Matia Bazar.

Una piccola ma significativa curiosità, inserita nel testo in due passaggi scivola la parola “sesso” che viene pronunciata per la prima volta davanti al pubblico del Festival di Sanremo.

Nello stesso anno esce anche l’album Nuntereggae più, dove il brano omonimo diretto e dissacrante, contro tutto e tutti, mette in fila cattive abitudini e personaggi di vari campi noti all’epoca – che tra l’altro sarebbero da rimpiangere, visto il panorama attuale – il cui testo con lievi varianti e sostituendo i nomi evidentemente rapportati alla storia di quegli anni, troverebbe ben più degni sostituti, destinatari di più che meritati vaffa.

Rino Gaetano è in una fase importante della sua carriera, il suo successo è all’apice, tanto che incide anche all’estero, Spagna e Germania e gli inizi del 1981 vedono sue collaborazioni con Riccardo Cocciante e il New Perigeo in una tournèe da cui nasce “Q Concert”, Ep con 4 brani dal vivo.

Negli anni dei suoi esordi, Rino aveva scritto un brano che non verrà pubblicato in nessuno dei suoi 6 album ufficiali, La ballata di Renzo, una storia triste in cui il protagonista ha un incidente stradale, ma viene rifiutato dagli ospedali in cui viene trasferito e persino al cimitero, suo ultimo luogo di pace, non trova il doveroso accoglimento.

La notte del 2 giugno 1981, in via Nomentana a Roma, la sua Volvo sbanda e si scontra frontalmente con un autocarro; sembra che l’ambulanza che lo trasporta venga rimbalzata tra più ospedali per svariati motivi e è ormai l’alba quando purtroppo viene dichiarato il decesso del povero Rino Gaetano.

Tre dei nosocomi implicati nella vicenda sono quelli che non accettano Renzo, nella ballata cantata da Rino un decennio prima, che riecheggia tragicamente premonitrice, in tutta la sua drammaticità, dal momento che anche la sua sepoltura incontra diverse difficoltà, prima della destinazione definitiva al cimitero del Verano a Roma, l’ultimo luogo nominato ne La ballata di Renzo.

I funerali vennero celebrati il 4 giugno nella chiesa del Sacro cuore di Gesù, dove un mese dopo si sarebbero celebrate le nozze di Rino con la sua amata Amelia.

Finisce così, a soli 30 anni la vicenda terrena di un cantautore eccentrico e geniale, un poeta neorealista senza maschere e paraventi, che sapeva raccontare con schiettezza quello che viveva e gli accadeva intorno.

In nemmeno un decennio Rino Gaetano ci ha divertito e fatto riflettere, per le allegorie e l’intelligenza dei suoi testi, per l’ironia del suo songwriting sincero e graffiante, per la sua vocalità ruvida e volutamente sgraziata accompagnata da melodiche ballate, originali e brillanti armonie, contraddistinte da efficaci ed a tratti anche ricercati arrangiamenti.

Il suo è un universo di santi vestiti d’amianto, di donne immaginarie, di cieli blu e notti stellate, di amabili puttane e detestabili politici di ogni schieramento.

Tratta di amori e di terrorismo, di religione e strategia della tensione, di corruzione e amore per la propria terra, di problemi sociali e irriverente superficialità dell’alta società, di falso perbenismo e rabbia interclassista.

Irride e commuove, con l’anarchica stravaganza dei poeti cantastorie.

Racconta un’Italia che nelle sue canzoni diventa un paese surreale, diviso tra fiaba e dramma, passioni sentimentali e contraddizioni sociali; un paese che Rino Gaetano ha sempre amato, ma che probabilmente non l’ha compreso durante la sua breve vita.

Lo si accusò di qualunquismo, di non avere una chiara collocazione, in un momento in cui schierarsi politicamente era quasi d’obbligo. Ma i suoi componimenti pungenti su costume e politica, si sono rivelati ben più lungimiranti, illuminati e purtroppo per noi, sempre attuali.

Avrebbe sicuramente saputo offrirci ancora molte rappresentazioni dell’evoluzione, o involuzione, di questa nostra società italiana e avremmo potuto festeggiare lo scorso 29 ottobre le sue 70 primavere, con uno dei suoi stravaganti pezzi densi di allegro sarcasmo.

Concludo con le parole di uno dei suoi ultimi brani Ti ti ti ti, pubblicato sull’ultimo album da lui registrato nel 1980, E io ci sto:

A te che ascolti il mio disco forse sorridendo / Giuro che la stessa rabbia sto vivendo / Siamo sulla stessa barca.

(immagine di apertura tratta da faremusic.it)

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