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Sanità a Melegnano. Da Formigoni a Moratti: la linea della Regione non cambia

di Elisabeth Cosandey, Coordinamento per il diritto alla salute Melegnano Martesana

Dalle interviste e dai tg regionali e nazionali abbiamo potuto accorgerci che con la nomina della nuova assessora alla Sanità lombarda, Letizia Moratti, la stella della Regione brilla di nuovo.

Archiviato il periodo di Gallera, delle sviste e degli errori suoi in tema di campagna vaccinale, Moratti si fregia degli ottimi risultati ottenuti e annuncia l’immunità di gregge a fine settembre.

Questa performance non ci deve ingannare e indurci a pensare che risolverà con la medesima efficienza tutti gli altri nodi della sanità pubblica nell’interesse di noi cittadini, di noi che abbiamo bisogno di poter ricevere visite e cure all’interno del servizio sanitario pubblico.

Personale al lavoro all’ospedale di Melzo (foto © Adriano Carafòli)

Basti pensare alle liste d’attesa relative al 2020: nel 68% dei casi si è dovuto attendere fino a 180 giorni per le visite, solo il 21% ha aspettato fra 30 e 60 giorni, l’8% entro 10 giorni e il 3% entro 72 ore.

Decisamente più contenuti i tempi di attesa in attività libero professionale fornite in oltre il 60% dei casi entro 10 giorni!

Personale al lavoro all’ospedale di Gorgonzola (foto © Adriano Carafòli)

Avrà cura per la sostituzione del personale ospedaliero? Cercherà di garantire a tutti il proprio medico di medicina generale visto i numerosi pensionamenti? Garantirà i presidi di continuità assistenziali, cioè le vecchie guardie mediche? E le cure domiciliari? Sono queste le risposte concrete che si aspettano i cittadini quando si parla di medicina di prossimità.

Nel 2015, l’allora presidente della Regione Roberto Maroni ottenne dalla ministra alla Salute Beatrice Lorenzin di poter fare una sperimentazione gestionale della durata di cinque anni approvando una nuova legge regionale (la legge 23 del 2015) denominata: “Evoluzione del sistema sanitario lombardo”.

In questo modo Maroni ha rimaneggiato le dimensioni territoriali e inventato le ATS (Agenzie sanitarie territoriali). Il bacino d’utenza dell’ATS della città metropolitana copre 3 milioni di persone. Ha istituito le ASST (Aziende socio-sanitarie territoriali), dichiarando di voler collegare l’ospedale con il territorio.

In realtà è stato l’ospedale a riassorbirne le risorse. Sono stati soppressi diversi poliambulatori (vedi Melegnano), con la solo riapertura del punto prelievi, quindi se si prenota una visita specialistica si dovrà magari spostarsi fino a Cernusco, a Melzo o a Gorgonzola (difficile farlo per chi non è provvisto di mezzo proprio di trasporto!).

Ospedale di Cernusco sul Naviglio (foto © Adriano Carafòli)

Tutte queste difficoltà anche logiche favoriscono invece le strutture private quali il Gruppo San Donato, l’Humanitas e il San Raffaele presenti sul medesimo territorio. Così il privato risponde prontamente, visto il principio della libera scelta del cittadino, e mette le strutture private accreditate sullo stesso piano di quelle pubbliche.

Arrivati alla fine del quinquennio (nel 2020), il ministro della Salute Roberto Speranza ha delegato e affidato all’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) il compito di valutare i risultati di questa sperimentazione.

Agenas ha espresso un giudizio critico sul sistema lombardo (perché si deve chiamare sistema e non servizio sanitario quello lombardo?), mettendo il dito sulla mancanza di servizi territoriali (causa dell’eccesso di morti durante la pandemia, avendo agito quasi unicamente con le aperture delle terapie intensive).

Sempre la medesima Agenzia ha sottolineato una confusione nei ruoli e nelle responsabilità tra le ATS e le ASST, anch’essa causa dei ritardi nel dare direttive puntuali e tempestive per contenere l’epidemia e nel fornire tutto il materiale e i dispositivi di protezione.

In conclusione ha stabilito delle prescrizioni obbligatorie cui la Regione dovrà adeguarsi e pure delle raccomandazioni. L’assessora Moratti è riuscita a dilatare i tempi circa i cambiamenti richiesti, impegnandosi solo per le prescrizioni obbligatorie e ignorando le raccomandazioni.

Ad oggi ha fatto pervenire al Consiglio regionale delle linee guida, alcune precise e altre molto vaghe. In buona sostanza, cambiare il meno possibile e soprattutto riaffermare i “pilastri” del sistema: mano libera ai privati, con il mantra della libera scelta del cittadino, come se si trattasse di andare in un supermercato dove si scelgono i prodotti della marca preferita.

Vogliamo ricordare che i privati godono, grazie all’accreditamento e alla contrattualizzazione, di un mercato garantito e sicuro su rimborsi pubblici avendo però la possibilità di scegliere le prestazioni e gli interventi economicamente più remunerativi, cosa che l’ospedale pubblico non può fare perché deve dare risposta a tutti i bisogni di salute della popolazione. Per il privato i rischi d’impresa sono pressoché nulli.

Le linee guida si proiettano verso le opportunità stabilite dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) del Governo per ottenere i maggiori finanziamenti e visto che questi riguardano in gran parte aspetti strutturali e tecnologici e non risorse umane, vediamo che, ancora una volta, il privato parte favorito.

Temiamo dunque che anche le proposte relative alla realizzazione delle Case di Comunità e degli ospedali di comunità siano o delle scatole vuote o delle prossime opportunità per il privato, per le cooperative o per il Terzo settore.

Nelle nostre proposte parliamo di Casa della Salute dove è indispensabile la partecipazione della popolazione per l’elaborazione di programmi a partire dalla prevenzione.

Per noi il ruolo dei Comuni non può essere marginale; nelle sue linee guida la Regione prevede solo un “raccordo” con l’ente comunale, quindi nulla in tema di programmazione e di controllo dell’operato sanitario. Nulla viene detto circa la prevenzione collettiva compreso il rapporto tra ambiente e salute dei cittadini. Dopo una dovuta rettifica ricompare la medicina del lavoro, non citata dalla prima versione delle linee guida!

(foto © Adriano Carafòli)

L’impostazione della Moratti e il suo rapporto stretto con Confindustria e la finanza emerge da una delle disposizioni finale del progetto, in cui, per creare sinergie tra il sistema socio-sanitario e le attività produttive si prevedono rapporti di collaborazione tra la Regione e le aziende produttive in alcune linee strategiche: welfare aziendale, ricerca biomedica, formazione e trasferimenti tecnologici. Questo significa sostegno e impulso alla sanità integrativa gestita dalle assicurazioni, che amplierebbe le disuguaglianze di accesso ai servizi e affidamento ai privati della ricerca che si orienterebbe non su priorità di sanità pubblica, ma sullo sviluppo di settori remunerativi per il profitto delle imprese. Il sistema ideato dalla Regione deve radicalmente cambiare.  Per questi motivi la nostra presenza e le nostre manifestazioni di protesta, di denuncia sono indispensabili.

In apertura, un reparto di degenza dell’ospedale di Cernusco sul Naviglio (foto © Adriano Carafòli)

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