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“Sono il re lucertola e posso fare qualsiasi cosa”. Vita, morte e quel che ci resta di Jim Morrison / 1

Vita, morte e quel che ci resta di Jim Morrison / Prima parte

 di Alessandro Arioldi

 Parigi 3 luglio 1971. James Douglas Morrison detto Jim, veniva trovato morto nella vasca da bagno dalla sua compagna di sempre, Pamela Courson.

Una frettolosa analisi del medico legale, dichiarò la morte di Morrison causata da attacco cardiaco.

Molte furono le ipotesi e le illazioni che si accavallarono nei mesi e negli anni seguenti, ma comunque siano andate realmente le cose, poco importa come sia morto Jim Morrison, un’overdose di qualcosa, un infarto, o semplicemente si sia ubriacato a morte.

In un modo o nell’altro, presumibilmente Jim, il poeta, il compositore, il cantante, il leader dei Doors, è morto per autodistruzione.

Jim Morrison e Pamela Courson

Forse nessuno dei suoi contemporanei riuscì a capire, mentre uscivano i dischi dei Doors, quanto sarebbe stato importante l’opera di Jim Morrison, per la musica e la cultura.

Nel corso di soli sei anni, dal 1965 al 1971, Morrison scrisse più o meno 100 canzoni, 4 libri di poesie, pubblicò 7 album, fece 200 concerti, diresse 3 film e compose diverso materiale che rimase inedito; non male come prolificità artistica per uno che, anche comprensibilmente, porta con sé un’immagine da tossico e alcolista indolente, dedito ad inseguire i propri fantasmi e attratto da ogni tipo di vizi.

Ma al di là dei suoi comportamenti discutibili, Morrison ha lasciato un’eredità indelebile a 50 anni dalla sua prematura scomparsa.

Una parte interessante della sua storia, quello che accadde prima del 1965, ci può aiutare a comprendere ciò che rese Morrison la persona e l’artista che riuscì a diventare.

Quando iniziò la sua avventura con i Doors, Jim interruppe ogni genere di rapporto con la sua famiglia e non incontrò mai più i suoi genitori fino alla sua morte.

La madre e il padre ammiraglio non hanno mai voluto parlare del loro famosissimo figlio e nemmeno il fratello e la sorella.

Causa la carriera militare, il padre costringeva la famiglia a continui spostamenti, che dopo la seconda guerra mondiale arrivarono sino al New Mexico e fu qui che il piccolo Jim sviluppò la sua passione per i rettili.

Ne era affascinato e nei suoi taccuini, sono molti i disegni che li rappresentano, ben prima di scrivere il famoso verso I’m the lizard king and I can do anything”(traduzione nel titolo).

Ma prima di tutto questo, accadde un fatto che ritorna, a più riprese nei testi e nei racconti dello stesso Jim; l’episodio del tragico incidente stradale che, secondo quanto scritto e narrato da Morrison, portò gli spiriti di uno o più pellerossa a scivolare dentro la sua anima.

Avvenne nel deserto, quando Jim aveva quattro anni e mentre viaggiava in auto con la sua famiglia, fu testimone di un grave incidente dove, in un frontale tra un furgone e un’auto, vide alcuni pellerossa giacere morti e straziati sull’asfalto.

Fu il mio primo incontro con la morte – disse qualche anno dopo in un’intervista – e fu mia sensazione che l’anima di quelle persone sia entrata nella mia testa; ma questa non è una storia di fantasmi, ma qualcosa che per me, ha davvero un significato profondo”.

La morte è un elemento centrale dell’opera poetica di Jim Morrison e parte del fascino che i suoi testi riescono ad avere ancor oggi, soprattutto sui giovani, deriva dal suo modo immediato, efficace, cupo e romantico di affrontare questo argomento.

Fin da subito Morrison dimostrò la sua avversione verso un certo tipo di disciplina e verso il padre che voleva imporgli un’educazione d’impronta militare; la frattura tra loro due venne acuita anche dalla vita nomade, a cui la professione paterna costringeva la famiglia.

Adolescente indomabile, desideroso di piacere e di affermarsi come leader, ma vessato dal padre che avrebbe voluto e fece di tutto per spingerlo alla carriera militare, ottenendo il risultato contrario, Jim dimostrò ben presto di essere incapace di tollerare qualsiasi autorità.

Nel 1964 riuscì ad iscriversi all’ Ucla, l’università di Los Angeles, per seguire il corso di cinema della facoltà di arti teatrali, tenendo duro per evitare di essere chiamato alla leva obbligatoria, nonostante le costanti pressioni del padre nel volerlo imbarcare con lui.

L’antimilitarismo di Morrison è fortissimo, anche se compare manifestamente solo in un brano di Waiting for the sun, album del 1968 dove appaiono le poche canzoni, puramente politiche, che egli compose e specificamente The unknown soldier è una condanna lancinante alla guerra in Vietnam in particolare.

Lo stesso Jim girò un video promozionale del singolo che, praticamente, non fu trasmesso da alcuna emittente e anche il brano venne, drasticamente boicottato da molte radio, per il suo contenuto antipatriottico, ottenendo comunque, un discreto successo.

Quel pezzo fu il definitivo rifiuto di Morrison nei riguardi di suo padre e di tutto quello che egli aveva rappresentato nella sua infanzia; nel contempo fu uno dei brani più riusciti contro la guerra, scritti in quegli anni.

(da Rock Oddity)

Nella storia della sua giovinezza traspare una grande solitudine, l’incapacità di manifestare i propri sentimenti di un ragazzo pieno di curiosità, di interessi, di creatività, ma con una certa difficoltà nel relazionarsi con gli altri; l’insicurezza mascherata dall’aggressività e la fuga nel proprio mondo interiore oltre che nell’alcol.

L’insieme di queste situazioni contribuiranno a delineare quella cupezza di fondo, che diverrà l’elemento costante, sempre presente nell’opera artistica di Morrison.

A dirlo in modo molto diretto è stato John Densmore, batterista della band, che nella sua biografia Riders on the storm: My life with Jim Morrison and the Doors, ha esplorato il proprio rapporto con Jim e la sua vita con i Doors.

È lui a mettere in risalto, da una parte la tendenza delle altre band californiane di quel periodo, di parlare di illuminazione, di tendere verso la luce, mentre dall’altra parte il messaggio dei Doors era teso ad evocare l’oscurità.

(pinterest)

In una sua lettera a un Morrison ormai defunto, Densmore esprime così il suo pensiero:

Che cos’era quella grande, nera, nuvola Morrison che galleggiava sopra la tua testa, chiunque entrasse in contatto con te ci finiva dentro, prima o poi a quell’oscurità. Eri un fottuto principe delle tenebre Jim”.

Oscurità e solitudine, che si esprimono in particolare, in People are strange, brano del secondo album dei Doors.

Dal gennaio 1967 all’aprile 1971, quattro anni e qualche mese fu il breve tempo che utilizzò Jim Morrison per imprimere un segno indelebile nella storia del rock e nella cultura popolare (fine prima parte).

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