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“Sono il re lucertola e posso fare qualsiasi cosa”. Vita, morte e quel che ci resta di Jim Morrison / 2

di Alessandro Arioldi

La bravura di John Densmore (batteria), Ray Manzarek (tastiere), Robby Krieger (chitarra), i tre musicisti che suonavano con Morrison, ebbe un ruolo fondamentale per l’evoluzione dei Doors, ma come si capì dai due album usciti poco dopo la morte del loro leader, con il nome The Doors, senza Jim nulla sarebbe successo di così eclatante; la sua breve parabola artistica presenta una densità inaudita, uno degli elementi cruciali a renderla tanto longeva.

Nelle scorse settimane, leggendo alcuni articoli sui Rolling Stones, nei giorni successivi alla morte di Charlie Watts, il loro batterista da sempre, si sosteneva che, uno dei motivi di una vita musicale così lunga della band, stia nel blues, come musica dell’anima, linguaggio eterno, incapace di invecchiare e profondamente umano.

Questo è molto vero anche per i Doors, sebbene abbiano un suono molto legato agli anni in cui hanno composto la loro musica, non hanno mai nascosto le proprie radici blues, di cui Morrison era profondamente innamorato.

L’anima blues dei Doors si manifesta in tutta la sua potenza, nel primo album, The Doors del gennaio del ’67, esordio della band, dove il brano Back door man di Willie Dixon, è una sorta di manifesto perfetto del Morrison blues.

Tra le sue mani, il blues diventa immediatamente rock sfrontato e provocatorio, come Jim ha voluto essere in tutta la sua vita, anche prima di trasformarsi in musicista, quando da studente del corso

di cinema, si vedeva come regista rivoluzionario, in grado di sconvolgere il mondo con i suoi lungometraggi.

Il blues fu una delle componenti fondamentali dei primi Doors, quelli che incominciavano ad esibirsi dal vivo nei primi mesi del ’66 in un locale chiamato The London Fog, primo a dar loro fiducia e a volerli come resident band.

In quel periodo Morrison aveva abbracciato la ricerca a cui accenna il poeta francese Arthur Rimbaud nella sua raccolta di poemi in prosa “Illuminations”, di cui Jim era fanatico e per meglio condurre questa sua ricerca, decise di aprire “le porte della percezione” usando LSD, non come droga ricreativa ma unicamente come strumento necessario alle proprie esplorazioni.

È lui che sceglie il nome del gruppo, citando il saggio breve di Aldous Huxley del 1954 The Doors of Perception, che tratta di esperienze vissute dall’autore tramite l’uso della mescalina e delle droghe psichedeliche in grado di aprire, dalle sue descrizioni, le porte della percezione della realtà, ad una realtà invisibile ma reale.

È questa lettura che lo porta a fare uso di LSD come mezzo per le sue indagini; la musica entra così, in modo improvviso ed imprevisto nella vita di Morrison, come possibilità espressiva.

I suoi primi componimenti li fa ascoltare a Manzarek, che aveva conosciuto nel 1965, il quale vede in Jim una rockstar e si convince di aver trovato la strada per il successo.

Da lì in poi le cose si fecero abbastanza spedite, arrivano Densmore e Krieger e registrano dei provini; giunge anche l’interesse della Columbia, tra le più importanti case discografiche.

La leggenda narra che l’executive che mise sotto contratto i Doors, ascoltò i demo insieme ad un giovane cantautore che era sulla cresta dell’onda, che lo consigliò caldamente di investire su di loro; il giovane musicista si chiamava Bob Dylan.

Il primo disco contiene un riassunto di quelle che saranno le migliori doti della band.

Brani dal tiro più pop come Light my Fire, che definì la fortuna dei Doors, la grande suite epica ed edipica di The End, c’è il riferimento colto della versione magnetica di Alabama Song di Bertold Brecht e Kurt Weill, c’è il rock diretto e aggressivo di Breake on Thruogh, con nel testo i riferimenti alle esplorazioni mentali di Morrison, chiari ed espliciti, anche se alla costruzione di quel suono contribuì in modo fondamentale, la batteria e la scelta di Densmore e del produttore.

Un pezzo quasi hard rock con una linea ritmica presa dalla Bossa Nova brasiliana, ispirata da un brano eseguito da Stan Getz, sassofonista statunitense jazz, che due anni prima aveva registrato Desafinado, scritto da Antònio Carlos Jobim e Newton Mendonça.

Nel novembre del 1966 non è ancora uscito un disco dei Doors, ma Morrison è già famoso sulle due sponde statunitensi, tanto che viene notato anche da Andy Warhol, che lo vuole in un suo film, dove dovrebbe girare una scena di sesso con Nico, la modella tedesca, musa del padre della Pop Art.

Se le avanguardie avevano adottato Morrison come proprio beniamino, quando finalmente nel gennaio del 1967 uscì il primo abum dei Doors, non fu un successo immediato presso il grande pubblico e fino alle soglie dell’estate si arenò a metà classifica; questo periodo si dimostrò piuttosto rilevante storicamente, essendo la stagione della Summer of Love.

Finalmente alcune radio propongono all’Elektra, loro casa discografica, di trasmettere una versione più breve, dei ben sette minuti originali, di Light my Fire e finalmente questa scelta decreta il  meritato successo della band.

Da quel momento diventarono troppo famosi per continuare a suonare nei locali che li avevano accolti fino ad allora; un improvviso colpo di fulmine del pubblico per quel magnetico istrione che era Jim Morrison.

Prima ancora che finisca il ’67, i Doors pubblicano un secondo album, Strange Days, forse il loro disco migliore, con la strana copertina fortemente voluta da Morrison, il quale convinse l’etichetta discografica ad evidenziare il titolo con quella scena carnevalesca e surreale composta da una variegata  galleria di strani personaggi felliniani, che oggi ci appare bellissima, ma allora fu molto arduo far uscire un secondo disco senza le facce del gruppo in copertina.

Il disco nacque sotto le pressioni dell’Elektra e del produttore per trovare un singolo trascinante, sulla scia di Light my Fire, per consolidare la popolarità raggiunta e puntare a più alti profitti, per non correre il rischio di trasformare la band in una veloce cometa, qualora non si fossero realizzate le notevoli aspettative che si erano create intorno a loro.

Il materiale che Morrison ha a disposizione, tuttavia guarda in un’altra direzione e vuole continuare ad esplorare i temi che gli sono cari, ma soprattutto per la sua natura che fatica ad inchinarsi a qualsiasi autorità, è insofferente nel sentirsi questo fiato sul collo e la sua reazione è quella abituale: alcol, alcol, alcol.

Paul Rothchild, il loro produttore, lo ricorda come un uomo imprevedibile, capace di cambiare pelle da un momento all’altro e non è il solo che parla di un Morrison che, sotto l’effetto delle sue sbronze, si trasformava velocemente nelle tante personalità che albergavano nel suo corpo inquieto.

Il poeta sognante o il bullo aggressivo, dottor Jekill e Mr. Hyde, lo studente quieto ed erudito o il folle pilota kamikaze, Jim toccava tutti i tuoi tasti per vedere come reagivi, racconta Rothchild.

I Doors sono ormai un gruppo importante e la casa discografica vuole guadagnare, grazie a loro, quindi si inizia a pensare anche al suono che dovrà avere l’abum, come renderlo adatto al momento, per questo comincia ad aleggiare nello studio lo spirito di un gruppo che era diventato punto di riferimento, a cui era difficile sfuggire per qualsiasi band pop-rock di quegli anni.

Naturalmente stiamo parlando dei Beatles, che avevano pubblicato nel giugno di quel ’67 il loro ottavo album, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, disco fondamentale perchè portò un concetto nuovo ed entusiasmante nell’ambito della musica pop, da cui era impossibile prescindere ed il cui imperativo era sperimentare.

Importante nota di questo disco, di cui rendere merito al produttore è l’introduzione da questo album in poi, di un bassista vero in sala di registrazione, che come si sa mancava nella formazione e fino a quel momento le linee di basso erano eseguite alla tastiera da Manzarek. (Fine seconda parte)

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