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Verso il 2 giugno. Le Costituenti. Maria Agamben Federici

di Sara Marsico

Tra meno di un mese, in occasione del 2 giugno, celebreremo insieme alla nascita della Repubblica l’elezione dell’Assemblea Costituente, cui si devono l’elaborazione e l’approvazione della nostra Costituzione.

Quel giorno del 1946, per la prima volta, le donne italiane esercitavano il diritto di voto alle elezioni politiche. Su 556 eletti all’Assemblea Costituente solo 21 furono le donne e mentre è facile ricordare i nomi dei Padri della Costituzione più difficile è farlo con le donne che contribuirono a scrivere la nostra Carta fondamentale.

Con questa serie di articoli si vuole rendere giustizia al piccolo drappello di Madri Costituenti, guardate con sguardo paternalistico quando non apertamente irridente, che per la prima volta sedevano in Parlamento, dando un contributo fondamentale alla scrittura della Costituzione.

Quasi tutte avevano percorsi di studio alti, quattordici erano laureate, molte insegnanti, due erano giornaliste, una sindacalista, una casalinga. Per la prima volta portarono in Parlamento la voce femminile e uno sguardo di genere che segnò profondamente gli articoli che contribuirono a scrivere. Mi piace ricordarle una per una, con le loro parole alla Costituente, per far sentire la loro voce, per troppo tempo obliata dai libri di storia e di diritto. Ecco le prime.

«Onorevoli colleghi, l’articolo 33 (ora 37) riguarda la donna lavoratrice e certi suoi particolari problemi. Questo articolo è un riflesso vivo delle gravi ingiustizie che ancora si registrano nella vita italiana. Da qui a pochi anni noi dovremo perfino meravigliarci di aver introdotto questo articolo nel testo costituzionale e per avere dovuto sancire nella Carta Costituzionale che a due lavoratori di sesso diverso, ma che compiono lo stesso lavoro, spetta un uguale retribuzione. Così pure ci dovremo meravigliare di aver dovuto stabilire come norma costituzionale che le condizioni di lavoro, per quanto riguarda la donna, debbono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e materna. Cioè dovremo meravigliarci di aver dovuto introdurre una norma tanto naturale ed umana».

Maria Agamben Federici, democristiana, aquilana, antifascista e partigiana, all’Assemblea Costituente nella seduta antimeridiana del 10 maggio 1947.

Maria Agamben (1899-1984), laureata in lettere e insegnante di italiano alle superiori, aveva sposato Federici, uomo di grande spessore intellettuale. Insofferenti entrambi al regime fascista, erano emigrati dapprima in Bulgaria, poi in Egitto e poi a Parigi e lì Agamben ebbe modo di confrontarsi con esuli italiani approfondendo la consapevolezza dell’importanza della giustizia sociale e della conquista di un’effettiva parità per la donna. Tornata a Roma nel 1939 fece parte della Resistenza nell’associazione Piazza Bologna, aiutando i perseguitati politici. Fu la prima delegata femminile nel 1944 al Congresso costitutivo delle Acli e l’anno successivo organizzò un Convegno nazionale per lo studio delle condizioni di lavoro delle donne.

La condizione delle donne lavoratrici fu un tema ricorrente di tutta la sua vita. Un’altra sua grande preoccupazione fu educare le masse femminili alla vita pubblica, impresa ardua per le donne cattoliche, tenute da sempre lontane dalla politica, cosa da uomini. Partecipò ai lavori per la costituzione del Centro italiano femminile di cui divenne Presidente fino al 1950, opponendosi alla partecipazione delle donne cattoliche all’Udi.

Eletta alla Costituente, fu una delle cinque donne che parteciparono alla Commissione dei 75. Fece parte della Terza Sottocommissione, che si occupava dei diritti economico-sociali, sostenendo che lo Stato dovesse intervenire per tutelare le lavoratrici madri eliminando tutti gli ostacoli di ordine economico che impedivano ai cittadini di formare una famiglia.

Una delle sue più importanti battaglie politiche riguardò l’accesso delle donne agli incarichi pubblici e alle cariche elettive, in particolare il diritto delle donne di accedere alla magistratura. L’unico elemento discriminatorio per l’ammissione avrebbe dovuto essere, per Agamben, il merito e non le presunte attitudini.

Purtroppo su questo punto l’ostilità o, per meglio dire, la misoginia maschile furono trasversali e si dovette attendere il 1963 per vedere pienamente realizzato il diritto delle donne di partecipare ai concorsi in magistratura.

Non sarà inutile ricordare le parole di un penalista di grande fama che sarebbe anche diventato Presidente della Repubblica, a tale riguardo, Giovanni Leone: «Ma alle più alte magistrature, dove occorre resistere e reagire all’eccesso di apporti sentimentali, dove occorre invece distillare il massimo di tecnicità, penso che la donna non debba essere ammessa; perché solo gli uomini possono avere quel grado di equilibrio e di preparazione necessaria per tale funzione». (Atti Assemblea Costituente, seduta 14 novembre 1947).

Agamben fondò con Lina Merlin Angela Guidi Cingolani e Maria De Unterrichter Iervolino il Comitato italiano di difesa morale e sociale della donna, con cui appoggiò la proposta Merlin per l’abolizione della regolamentazione statale della prostituzione e creò una rete di protezione, per le prostitute che volevano cambiare vita, che fosse in grado di accompagnarle nel percorso di reinserimento sociale.

La sua posizione radicale nel Cif non fu gradita ai vertici della chiesa cattolica, con cui ebbe molti contrasti. Nel 1953, terminata la legislatura, abbandonò la politica attiva e si dedicò all’impegno sociale, soprattutto nel campo dell’emigrazione, con iniziative di grande visione. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a scrivere le sue memorie, soprattutto quelle relative agli anni della Resistenza e dell’antifascismo, raccolte nel libro Il cesto di lana (foto di apertura).

Come molte altre Costituenti Agamben può dire molto alle giovani generazioni e può rappresentare un esempio da seguire. La sua opposizione al fascismo e la sua partecipazione alla Resistenza sono il segno del suo grande coraggio e della sua voglia di libertà, la sua passione per gli studi che le consentì di prendere la parola con capacità oratorie e persuasive in un Parlamento di navigati giuristi e politici, può essere uno stimolo a coltivarsi per le giovani che vogliano cimentarsi in politica, la sua attenzione alla condizione della donna lavoratrice un punto fermo nella richiesta di politiche per l’occupazione veramente paritarie.

Il libro di Alfredo Canavero sulla vita di Maria Federici

Purtroppo i temi a lei più cari, il lavoro femminile e la conciliazione con gli impegni familiari nonché il tema della prostituzione come mercificazione del corpo di donne provenienti da situazioni di miseria, attendono ancora di essere affrontati in modo rispettoso della dignità e della libertà femminili.

A Maria Agamben dobbiamo tutte e tutti dire grazie.

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