Written by 06:02 Cultura

Frank Zappa, l’iconoclastia allo stato puro. – 1a puntata

“L’informazione non è conoscenza / La conoscenza non è saggezza / La saggezza non è verità /    La verità non è bellezza / La bellezza non è amore / L’amore non è musica / Music is the best.”

E’ il celebre sillogismo espresso da Mary, personaggio del brano Packard Goose, tratto dal III atto di Joe’s Garage, opera rock nella quale Frank Zappa, con la sagacia che lo contraddistinse in tutti i suoi lavori, affronta tutti i discorsi a lui cari come: individualismo, censura, libertà d’espressione, ingerenze politiche, sessualità, religione.

Il passaggio risulta essere una sorta di dichiarazione d’amore viscerale nei confronti della musica     e della libertà di espressione, come culmine della critica di Zappa nei confronti del sistema discografico e mass mediatico che si sviluppa nel brano.

Ma non ho ancora presentato il grande protagonista di questa breve conversazione, Frank Vincent Zappa, compositore, chitarrista e polistrumentista statunitense di Baltimora, Maryland, uno dei più grandi geni musicali del secondo ‘900, paragonabile a Stravinskij, sì Igor Federovic.

Acerrimo nemico dell’uso di ogni tipo di droghe, cacciava chi scopriva ad abusarne nelle sue band dove si imponeva, tanto tiranno e despota nel mantenere una ferrea e meticolosa disciplina, quanto persona gentilissima e generosa nella vita reale.

Musicista che ha saputo distillare con singolare intelligenza ed inconfondibile personalità un sincretismo musicale ineguagliato e forse ineguagliabile, un tipo di musica che Carmelo Bene definiva de-genere, ossia non etichettabile, inequivocabilmente non definibile in un genere.

La musica nera, il doo-woop, la vicinanza dell’ambiente culturale dei sobborghi della metropoli di Los Angeles, l’ambientazione pre-American Graffiti per intenderci, rappresentano le sue fascinazioni giovanili e gli iniziali approcci musicali con le sue prime band.

È di questi anni il suo folgorante incontro con la musica di Edgar Varése che, con Ionisation, aprì al giovane Frank un fantasmagorico universo di possibilità espressive, timbriche da cui imparò quell’organizzazione dei suoni che sarebbe diventata uno dei suoi più grandi talenti.

Frequenta un certo Don Van Vliet, bizzarro personaggio dalla strana voce rauca e potente trascorrendo notti ad ascoltare dischi rhythm’n’blues, ne riconosce il talento e lo ribattezza Captain Beefheart, che sarà un precursore e maggior esponente del rock sperimentale statunitense.

Questa conoscenza ispirerà un suo lavoro di sceneggiatura per un film che non vedrà mai la luce: Captain Beefheart vs The Grunt People.

Comincia a sperimentare il suo progetto musicale e forma un suo gruppo, le Mothers che diventano un’attrazione nei locali più trendy; Zappa si circonda dei personaggi più singolari, i “freak”, soggetti al limite della follia, che stimolano la sua incontenibile creatività.

Riesce così, ad ottenere un contratto con la Verve, dopo aver modificato il nome della band in Mothers of Invention, per evitare secondi sensi sconvenienti ed incidendo con loro il primo album.

Freak Out! esce nel 1966 ed è un disco rivoluzionario, nei contenuti perché riesce a catturare l’energia dei freak, delle menti libere della California, beatnik, poeti di strada, condensando idee politiche e musicali, una sfida satirica, dileggio colto e ironico di un mondo che si gongolava in un “American Dream” che Zappa dimostrava essere un’utopia e nella forma in quanto disco doppio, che per un esordio era cosa impensabile per quei tempi.

Di questo periodo è la famosa partecipazione al talk-show di Joe Pyne, ex veterano, molto conservatore e noto per la sua particolare avversione nei riguardi dei “capelloni”, che secondo alcuni, era dovuta almeno in parte, ad una sua grave menomazione: una gamba persa in guerra, quindi con protesi in legno, che l’avrebbe reso particolarmente acido ed ostile verso il prossimo.

Frank Zappa si presentò allo show vestito come un hippy trasandato, con chitarra e capelli molto lunghi; Pyne guardandolo di traverso lo apostrofò: “Certo signor Zappa che a giudicare dai capelli lei è una signorina!”, al che prontamente, Zappa rispose con una delle sue dosi di vetriolo:

“Lei signor Pyne, a giudicare dalla gamba, è un tavolino”.

Fin dagli inizi Zappa divide il pubblico, tra fans estasiati e gente irritata dall’irriverenza dei suoi testi e dalla musica che mischia “sacro e profano, classica e rock, senza ritegno.

Nel 1967 registra un album con organico allargato e primo esperimento con orchestra, denso di avanguardia e di lucida follia, primo vero avvicinamento a quella musica “seria” contemporanea, la cui influenza richiama Varése, Stravinskij, Stockhausen, Webern e che avrà sviluppi più consapevoli in album successivi; Lumpy Gravy è il lavoro a cui Zappa risulterà più legato.

Da sempre Zappa espresse la sua opinione negativa riguardo ai meccanismi del mercato discografico, cosa che paradossalmente, lo accomuna alla teoretica adorniana (Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, filosofo, sociologo, musicologo, esponente della scuola di Francoforte, che si distinse per una critica radicale alla società ed al capitalismo avanzato).

Le sue considerazioni critiche appaiono estensibili a buona parte della popular music a lui contemporanea, nel senso che Zappa interpretò spesso l’avvicendarsi, a ritmo frenetico, di nuovi stili e nuove tendenze nel panorama pop-rock, come la mera costruzione a tavolino di nuovi fenomeni e nuove mode, che in realtà avevano ben poco di realmente innovativo.

Per citare un caso eclatante, il suo terzo disco riprendeva in copertina l’esplicita parodia di quella del celebre Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, ottavo disco del 1967 dei Beatles e non a caso, si intitolava We’re Only in It for the Money, quasi a voler condensare in una frase la sua sprezzante opinione circa il vero spirito con cui molti artisti, manager, discografici, si approcciano alla musica.

Della sterminata discografia di Frank Zappa, un centinaio tra album ufficiali e registrazioni dal vivo, pubblicati ante e post mortem, l’elenco è veramente molto lungo, ma si può dire che ogni sua composizione originale sia paradigmatica della sua grande avversione per l’establishment e della sua forte convinzione che si dovesse lavorare al suo interno per poter scardinare i gangli del sistema e riuscire a realizzare l’auspicato cambiamento.

Continua…

Immagine di copertina: Frank Zappa 1609740009 foto di  Heinrich Klaffs

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