di Gisella Giovanetti
Come si sa (o come si dovrebbe sapere) mangiare a scuola è, a tutti gli effetti, attività didattica. Lo sostiene ormai da anni il ministero dell’Istruzione, il Miur, nelle sue “Linee guida per l’educazione alimentare”.
La ristorazione scolastica è quindi tempo-scuola, in quanto l’azione educativa pratica, sul campo, per quanto riguarda le conoscenze e le scelte alimentari passano necessariamente attraverso il servizio di ristorazione.
Si tratta di un principio che, senza ombra di dubbio, valorizza la mensa scolastica. Ma allo stesso tempo è un principio che non tiene conto del fatto che non in tutte le scuole viene offerto ai bambini e alle bambine un servizio di qualità, composto di piatti sani, buoni e sostenibili, condizioni queste indispensabili per attuare progetti di educazione alimentare.
Va anche detto che il servizio di ristorazione nelle scuole italiane non è garantito a tutti e non è così diffuso su tutto il territorio nazionale, come invece si potrebbe essere indotti a pensare: nell’Italia Meridionale, ad esempio, un istituto scolastico su due non dispone del locale mensa (Save the Children, “Tutti in mensa”, 2018) e nel Nord Italia ben due terzi delle scuole non ha cucine e refettori per gli studenti.
Non solo, ma ci sono altri dati che ci fanno capire se la nostra refezione scolastica è o meno di qualità: ad esempio, il livello di gradimento del pasto scolastico mediamente non supera il 57% e, inoltre, ancora oggi, nonostante le campagne di informazione, più di un terzo del cibo distribuito diventa rifiuto.
Occorre aggiungere che i progetti di educazione alimentare sono purtroppo frammentati e poco efficaci e lasciati alla buona volontà di alcuni dirigenti scolastici e di qualche assessore particolarmente sensibile al tema. Mancano inoltre delle politiche dedicate e scarseggiano anche gli investimenti per avviare programmi anche complessi.
Con Expo2015 abbiamo percepito l’idea, positiva, che l’alimentazione sostenibile diventasse prioritaria nelle scelte delle famiglie e delle scuole, ma a distanza di cinque anni si può affermare che non è andata proprio così.
Le aziende di ristorazione, ad esempio, nelle offerte di gara inseriscono proposte anche importanti in materia di sostenibilità alimentare, con ricchi progetti di educazione che, per la maggior parte dei casi, non si calano nella realtà scolastica locale.
Una mensa sostenibile, insomma, non si riconosce solo dall’attenzione alla scelta del menù, ma dalla organizzazione complessiva della filiera che precede l’offerta del pasto. E riguarda la scelta dei fornitori, la qualità degli alimenti, le attrezzature utilizzate, la gestione del refettorio, il controllo dei capitolati, gli avanzi prodotti e il loro corretto smaltimento e gestione per un loro riutilizzo.
E allora, per garantire una ristorazione sostenibile occorre compiere alcuni passi fondamentali.
Occorre promuovere lo sviluppo del biologico locale, utilizzare prodotti a filiera corta, evitare l’uso di prodotti di IV (ortofrutta fresca lavata, confezionata e pronta al consumo) e V gamma (frutta e verdure cotte e ricettate, confezionate e pronte al consumo), non utilizzare la plastica in tutte le sue diverse forme (bottiglie, bicchieri, piatti, vassoi, posate…), ridurre gli scarti, raccomandare ai bambini di portarsi a casa la merenda e il pane non consumato e, infine, utilizzare gli scarti per la produzione del compost.
Il pasto sostenibile insomma è il punto d’arrivo di un lavoro di squadra, che coinvolge i numerosi soggetti che lavorano nelle mense scolastiche (direttori e direttrici scolastiche, insegnati, assistenti, cuochi e cuoche, funzionari e amministratori comunali, componenti delle commissioni mensa). Un lavoro di squadra che deve essere supportato dalla competenza di un’amministrazione attenta e capace di dialogare con l’utenza.
Una mensa sostenibile significa anche ridurre le emissioni di CO2, produrre meno scarti e avere minori costi di gestione del servizio.
Insomma, una mensa sostenibile è un vantaggio per tutti e per l’ambiente.
Immagine di copertina: Turbigo 1953
Sono d’accodo riguardo all’articolo scritto dall’esperta Gisella Giovanetti.
Ho insegnato in una scuola dell’infanzia a Melegnano ,v Campania ,circa 25 anni fa’
Gli operatori della cucina ,gestiti dall’amministrazione Comunale preparavano i pasti sul luogo,in una cucina luminosa pulita,adiacente alla sala mensa.
Arrivava il piatto a tavola con un sorriso,e,tutto era cucinato con cura.
Era il tempo delle collaborazioni nelle scuole,avevamo anche una Nutrizionista che piano piano introduceva nella dieta alimentare più verdure e cereali.
Ho lasciato la scuola nel periodo in cui il cibo veniva portato dalle cooperative,arrivava freddo,e tutto aveva il “solito sapore ” lo chiamavamo : cibo senza amore.
Questo articolo mi ha ricordato tempi lontani, ed é il caso di dirlo ,quando molte cose funzionavano ancora bene in quanto erano finalizzate al benessere della persona, più che alla catena del profitto.
Concordo con il commento della s.ra Lana, che ringrazio per averci ricordato quando la scuola metteva al centro le persone anziché il profitto. Le attuali mense scolastiche sono un esempio tra i tanti