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Anniversari musicali. 50 anni fa…Prog e dintorni / 1

di Alessandro Arioldi

 Il 1970 vede l’affermazione per il disco in vinile del formato 33 giri. Immesso sul mercato discografico per la prima volta nel 1948 dalla Columbia Records, il 33 giri consente l’introduzione del concetto di album, con la possibilità di incidere svariati brani al suo interno rispetto al più limitato 45 giri.

Alcuni dei più importanti album per l’evoluzione della popular music escono proprio in quell’anno: si tratta dell’avvio della costruzione di un allargato universo musicale capace di unire il rock, nelle sue varie accezioni, alla musica classica, al jazz, al blues, al soul, al folk in un vero villaggio globale dei suoni.

Visto il fermento compositivo e la sterminata produzione musicale trasversale di quegli anni, questo è solo uno spunto per addentrarci tra composizioni e musicisti che hanno scardinato le regole del tempo e hanno saputo creare nuove armonie e originali intrecci sonori che travalicassero gli steccati dei generi sino a quel momento legittimati.

Nel 1969 Andrew Lloyd Webber e Tim Rice vorrebbero mettere in scena il loro terzo musical, ma incontrando non poche difficoltà pensarono a una versione solo discografica, sperando che le vendite attirassero l’attenzione di Broadway.

La coppia, artefice di originali e indimenticabili musical, non può immaginare che Jesus Christ Superstar diventerà la più popolare e immaginifica opera rock della storia, eguagliata solo da un altro capolavoro quale The Rocky Horror Picture Show.

Si riuniscono notevoli musicisti e cantanti provenienti da varie band del momento, che danno vita a brani di intenso lirismo ed efficace progressione sinfonica, che si esplicano nell’eccellente dialogo tra rock band e orchestra, proiettando riff che hanno lasciato un segno indelebile.

Ne scaturisce un doppio vinile pubblicato appunto nel 1970, i cui principali interpreti furono Ian Gillan (nel ruolo di Gesù), Murray Head (Giuda), Yvonne Elliman (Maria Maddalena) e Barry Dennen (Pilato), questi due ultimi unici interpreti anche della versione cinematografica del 1973.

Un album memorabile della musica contemporanea è la definizione che si può dare di Bitches Brew, doppio 33 giri uscito nel marzo 1970 con una copertina conturbante, in cui Miles Davis raduna un autentico dream team di musicisti eccelsi che elaborano un’opera variegata e complessa, creando una barriera sonora di densa originalità.

Registrato nell’agosto del 1969, Bitches Brew viene considerato uno degli esempi più raffinati di editing e post-produzione di quegli anni, grazie al lavoro del produttore Teo Macero che introduce loop, tape delay, riverbero, rivoluzionando la concezione del lavoro, riconosciuto come una svolta, apprezzata da alcuni, non compresa da molti; Davis scandalizza i puristi jazz e ancora una volta rivoluziona gli stereotipi di genere, intrecciando jazz, rock e funk, definendo le basi di un nuovo genere fusion e influenzando i successivi decenni musicali.

Nella eclettica e imponente discografia dei Pink Floyd, Atom Heart Mother, il quinto album, inciso nell’ottobre del 1970, si può considerare uno spartiacque, rimanendo un lavoro sperimentale a sé stante.

La copertina bucolica, forse ispirata dalla Cow Wallpaper ideata da Andy Warhol, senza intestazione né nome della band, incuriosisce e disorienta, così come l’enigmatico titolo, che pare sia scaturito da una notizia di cronaca relativa a una donna incinta cui era stato impiantato uno stimolatore cardiaco atomico.

La title-track è una lunga suite strumentale che occupa l’intera side one, divisa in sei parti che riecheggiano i movimenti di una sinfonia, alla cui stesura oltre a Waters, Gilmour, Wright e Mason, collabora Ron Geesin per l’orchestrazione.

Nel primo brano colpisce la geniale commistione tra le armonie psichedeliche del gruppo e la maestosità degli ottoni, compenetrate da dissonanze avanguardiste, disseminate da rombi di motocicletta e sinistre esplosioni.

La seconda parte, caratterizzata da un leggiadro arpeggio d’organo, contrappuntato da una suadente melodia al violoncello, racchiude una curiosità essendo stata utilizzata nel 1974 per lo spot pubblicitario dell’acqua Fiuggi, con tutti i pro e contro che queste ambigue operazioni sollecitano.

Il finale della suite è un crescendo di cori operistici, atmosfere claustrofobiche, riprese dei temi dei due primi movimenti ed effetti sonori di grande efficacia, enfatizzati da pan-pot del missaggio.

La side two è affidata alle composizioni dei tre, ad esclusione di Mason, che interpretano i loro rispettivi brani con arrangiamenti acustici, virtuosismi pianistici e oniriche cavalcate rock, impreziosite da testi intimisti e riflessioni esistenziali che avranno il loro culmine nella loro summa che diverrà, nel 1973, The Dark Side of the Moon.

Conclude il viaggio una suite strumentale in tre parti contraddistinta dai rumori registrati in cucina condivisi da Alan per il suo Psychedelic Breakfast, che svanisce in un rilassante gocciolio.

Atom Heart Mother è un lavoro seducente, immaginifico, magmatico, atipico nel percorso dei Pink Floyd, un ambizioso tentativo di coniugare rock, musica classica e psichedelica; un lavoro molto ben riuscito, nonostante la contrarietà di un Gilmour poco soddisfatto.

Il seme di quello che i Genesis, gruppo tra i più rappresentativi del progressive rock britannico, avrebbero saputo produrre, viene virtualmente piantato alla fine dell’ottobre 1970 con l’album Trespass, dopo il trascurabile esordio con l’acerbo e ingenuo From Genesis to Revelation.

Dopo la sostituzione del batterista e l’arrivo di un nuovo produttore, sembra di ascoltare un’altra band: i nostri sono cresciuti incredibilmente sia musicalmente che professionalmente. La vocalità inconfondibile e incisiva di Gabriel, i suoi efficaci interludi al flauto e la sua istrionica teatralità sul palco, dà l’imprinting al gruppo; si vede già un Banks in piena sintonia con le tastiere che tesse complesse partiture al mellotron e preziosi virtuosismi pianistici; Phillips che stende tappeti sonori con arpeggi e assoli di chitarra; la ritmica arricchita dal basso e la 12 corde di Rutherford e dai groove di batteria di Mayew.

Come già detto è solo l’inizio, ma oltre ad aver affinato la tecnica strumentale si ravvede una decisa maturazione anche per quanto riguarda il songwriting e tutto ciò giungerà all’apice negli album successivi quando, abbandonato il gruppo chitarrista e batterista, vengono rimpiazzati dai più talentuosi Hackett e Collins portando il quintetto al vertice dell’universo prog-rock.

A questa magica atmosfera contribuiscono anche le copertine di Paul Whitehead, che con Trespass inizia la collaborazione con i Genesis, riproducendo un disegno realizzato nel 1911 per il libretto illustrativo del Tannhauser di Wagner, attraversato dal taglio di un pugnale che si trova conficcato nel retro cover per enfatizzare l’aggiunta del brano The Knife, una delle composizioni più aggressive del gruppo, che è rimasta a lungo nelle set-list dei loro concerti (prima parte).

In apertura, l’iconica copertina di Atom Heart Mother, con la celebre mucca frisona, fotografata dal grafico Storm Thorgerson in una campagna al nord di Londra (fonte, stonemusic.it)

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