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La logistica, un Far West con poche regole e ancor meno diritti

di Roberto Silvestri

Poco più di cinquant’anni fa, giovane quasi imberbe e militeassolto, iniziai la mia carriera lavorativa in un’azienda di autotrasporti.

Con la giusta irruenza della gioventù e spinto dal desiderio di abitare un mondo più giusto e più saggio, cosa questa che ancora oggi mi muove seppur, ahimè, non più sorretta dalla stessa energia di allora, iniziai a fare attività sindacale in azienda.

Scoprii così alcuni problemi legati a quel settore.

Trasporto su gomma. Foto da e-gazette

Una cosa, evidente a tutti, era l’enorme sproporzione tra la quantità di merce trasportata su gomma (dai camion) rispetto a quella movimentata su rotaia (via ferrovia). Uno sviluppo fortemente squilibrato che per aiutare l’industria automobilistica privata ha depotenziato aziende pubbliche, consumato suolo, prodotto inquinamento. Scelta che partiva, nella migliore delle ipotesi – le altre le lascio ipotizzare a voi, dalla convinzione che l’industria privata avrebbe saputo guidare la crescita economica del paese (il santo PIL) e portato benessere a tutti i ceti sociali.

Era ancora presente e operante una visione ideale del capitalismo, quello dal volto umano di Adriano Olivetti e di altri che riconoscevano l’etica del lavoro e accettavano l’equa ripartizione delle ricchezze.

Purtroppo, gli imprenditori, compresi i successori degli illuminati, si sono rivelati di tutt’altra pasta, razza padrona e, spesso, predona. Pronti ad arraffare appena era possibile e a chiudere le tasche quando si trattava di dare. Il caso esemplare di questa stirpe è stata la Fiat. In prima fila quando si trattava di prendere, ha lasciato il Bel Paese per andare verso lidi in cui era possibile intascare ancora di più pagando meno tasse, senza nemmeno un grazie.

Altre cose erano meno note, ma certamente non meno gravi.

L’uso dei padroncini, autisti proprietari del loro mezzo, a cui veniva affidato il trasporto a tariffe estremamente basse, costretti a pericolosi e disumani ritmi di lavoro.

L’abuso di finte cooperative di lavoratori per la movimentazione delle merci in ribalta.

Il movimento cooperativo è stato un movimento importante dell’800. Le società operaie e quelle di mutuo soccorso furono lo strumento dei lavoratori per assicurarsi e garantire alle proprie famiglie un sussidio economico in caso di impossibilità di lavorare.

Altre forme cooperative rappresentarono invece la possibilità per i lavoratori, spesso ex artigiani rovinati dall’industrializzazione, di acquisire i mezzi di produzione.

Le semplificazioni, anche fiscali e normative, hanno però reso la forma cooperativa uno strumento di evasione fiscale e contributiva, di sfruttamento dei lavoratori e di negazione dei diritti del lavoro.

Cinquant’anni sono passati. I problemi, sempre gli stessi, sono ancora tutti sul tappeto, solo acutizzati da cinquant’anni anni di inerzia.

Il trasporto continua sempre a viaggiare su gomma, le autostrade si moltiplicano, le logistiche si propagano come un’infezione virulenta. Nel nostro territorio ne sono in arrivo una a Paullo, una a San Zenone e se ne prospettano ben tre a Melegnano, un’altra a Bascapé. Ci regaleranno inquinamento atmosferico, aumento del traffico, maggior rischi di incidenti, usura delle strade.

Le amministrazioni che avrebbero come compito quello di progettare e guidare lo sviluppo del territorio invece di gestire il fenomeno si limitano a chinare il capo di fronte alle richieste, sempre più voraci e arroganti, dei proprietari delle aree, quasi che il loro compito sia diventato quello di assenzienti passacarte.

La pandemia, quel forte messaggio di allerta che ci ha fatto esclamare/sperare “Niente sarà più come prima” ha cambiato in peggio le modalità del commercio, esasperando le debolezze e le ingiustizie del passato.

Durante la pandemia le logistiche hanno moltiplicato i loro guadagni, ma continuano a sfruttare e sottopagare i lavoratori, considerati schiavi senza diritti.

Carichi di lavoro ben più pesanti rispetto a quelli di cinquant’anni fa, sfruttamento delle pseudo-cooperative diventato ormai prassi accettata. I lavoratori vengono lasciati a casa senza alcuna tutela non appena un cliente disdice un contratto o se solo pretendono che i loro, pochi, diritti vengano rispettati. E se cercano di affermarli con la lotta arrivano i picchiatori.

Un momento dell’aggressione di Tavazzano. Foto da ilpiacenza.it

È successo a Tavazzano, dove squadre di vigilantes picchiatori hanno aggredito il picchetto dei lavoratori a colpi di bastoni, sotto gli occhi miopi o conniventi delle forze dell’ordine, che hanno assistito senza intervenire fino a quando non ci è scappato un ferito tra i lavoratori.

La precarietà, lo sfruttamento, i contratti pirata, i subappalti, il lavoro nero, la mancanza di tutele e di diritti non devono essere messe in discussione.

Quello di Tavazzano non è stato l’ultimo episodio di aggressioni e violenze.

Chi protesta rischia la vita.

Adil Belakhdim, sindacalista di 37anni residente a Vizzolo, è stato investito e ucciso da un camion che cercava di forzare un picchetto.

Amara la riflessione di Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale ANPI, sulla sua morte: “Non è questa l’Italia per cui hanno combattuto i partigiani”.

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