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La meglio gioventù. Tra incertezza del futuro, lavori malpagati e sfruttamento (prima parte)

di Giovanna Carrara

“Quest’anno finisce di studiare!” pensa il genitore in cuor suo. Che si tratti di una maturità o di una laurea poco importa, il padre o la madre tirano di nascosto un sospiro di sollievo ripensando agli ultimi vent’anni circa in cui si sono dedicati anima e corpo alla formazione del proprio rampollo.

“Giovane adulto, finalmente!  Si emanciperà, si farà la propria vita”.

Purtroppo però non siamo in Francia dove Mario (chiamiamolo così) potrebbe trovare per una cifra modesta un appartamentino in affitto, almeno una garconnière, dato che lo Stato fa da calmieratore del mercato immobiliare possedendo una rilevante percentuale degli immobili.

E così Mario, o Maria, continuano “per il momento” a stare in casa. E presto si accorge, il nostro giovane adulto che cerca il primo lavoro, di non essere neppure in Germania dove i Centri per l’impiego sono pubblici e funzionano benissimo, connettendo domanda e offerta di lavoro con grande tempestività e minimizzando i tempi della disoccupazione.

Questa efficienza nella redistribuzione dei posti di lavoro permette di prevedere erga omnes il reddito di cittadinanza, senza particolari ostacoli burocratici (per questo si chiama reddito di cittadinanza e non sussidio per gli sfigati).

Quindi il nostro Marius, che riceve peraltro anche un aiuto per l’affitto quando non lavora, può incamminarsi fiducioso nel mondo del lavoro cercando la collocazione più consona ai suoi talenti e alla sua formazione.

Maria e Mario, invece, mettiamo siano anche laureati, cominciano con la distribuzione di decine e decine di curriculum nei posti più impensati: bar, cooperative di servizi, agenzie interinali, e “persino” ai Centri per l’impiego, che in genere non propongono loro altro che generici corsi di formazione senza sbocco.

Alla fine Maria, che è fortunata e vanta una laurea in Paleografia diplomàtica, viene assunta in un prestigioso museo della sua città, una delle magnifiche città d’arte italiane. Un momento, andiamoci piano, Maria non viene assunta dal museo, ma da una cooperativa che offre servizi al museo e che, avendo vinto un concorso al maggior ribasso, la paga 5 euro l’ora e le offre un contratto part-time della durata di quattro mesi. Mario fa il giornalista freelance e la sua condizione è, se possibile, ancora più incerta, tanto che talvolta gli tocca chiedere ai giornali per cui lavora di pubblicargli un articolo senza essere retribuito. Così, tanto per far conoscere il suo nome.

Questa precarietà riguarda ormai, secondo l’Istat, 5 milioni di lavoratori, in special modo giovani, di sesso femminile e abitanti nel Sud d’Italia.

La loro vulnerabilità è tale che accettano contratti che prevedono salari fino a 3,75 euro all’ora, part-time non voluti, orari senza fine, come gli animatori dei villaggi turistici. Le ferie, la malattia e la liquidazione non sono quasi mai previsti.

Insomma si sta delineando per milioni (lo ripetiamo, milioni) di lavoratori giovani un lavoro schiavo in cui essi stessi hanno interiorizzato la necessità di passare attraverso lo sfruttamento, il lavoro senza diritti e senza dignità per inserirsi nella società produttiva. Questo scandalo, che rischia di fare tracollare il nostro patto sociale e la solidarietà intergenerazionale, è stato stigmatizzato dalla Corte costituzionale che ha emesso decine e decine di sentenze di incostituzionalità per i contratti del tipo multiservizi, che tuttavia continuano ad essere applicati.

Che fare? Di questo proveremo a occuparcene in un prossimo articolo (continua)

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