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Lavori nel bosco di Montorfano. Ovvero l’elefante in cristalleria / 1

di Vincenzo Caminada, socio del Wwf Italia dal 1970

Fulco Pratesi, presidente onorario del Wwf Italia, in visita nell’oasi del Bosco di Montorfano nel maggio del 2013, disse “Sono davvero estasiato, è qui che si respira la vera natura”. Certamente non ripeterebbe la stessa frase se venisse in visita adesso, dopo lo scempio causato dai recenti lavori di “pulizia” del bosco.

Che cos’è successo

Nella parte centrale del primo lotto (quello tra la via Emilia e il ponte Cappuccina), sono entrati un trattore con trincia e una macchina per esbosco forestale che hanno calpestato e distrutto il sottobosco in una vasta area per poter segare e afferrare tronchi grandi e piccoli già caduti, ammucchiandoli in qualche modo vicino al percorso di visita, probabilmente per essere asportati in seguito.

Qui occorre fare un discorso chiaro sull’ importanza del legno morto nei boschi.

È diffusa l’opinione che per motivi estetici e fitosanitari il bosco debba essere mantenuto “pulito”, evacuando il legno morto. Lentamente però si assiste comunque a una presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica sulle funzioni del bosco e sull’importanza di mantenere una componente di legno morto.

Un bel bosco non deve necessariamente essere assolutamente ripulito e inoltre una foresta sana può senz’altro avere anche alcuni alberi deperienti oppure morti.

Un terzo delle specie di insetti, funghi, licheni, uccelli (in particolar modo il Picchio) è costituito da mammiferi che vivono nei boschi e hanno bisogno di tronchi e rami morti per la loro sopravvivenza. La rimozione di legno marcescente nelle foreste mature d’Europa è una delle cause importanti della perdita di biodiversità e sta conducendo al declino di diverse specie animali e vegetali.

Tronchi morti, in piedi o a terra, oltre ad arricchire di humus il terreno, sono habitat importante per numerosi funghi e insetti decompositori del legno.

Questi organismi demolitori del legno, a causa della distruzione del loro ambiente di vita conseguente alla continua asportazione del legno morto e dei vecchi alberi, sono in drammatico declino in tutta Europa.

Il legno morto costituisce una componente fondamentale dell’ecosistema forestale, in quanto fornisce rifugio, protezione e nutrimento a una moltitudine di organismi. Il legno morto presente nelle cavità di vecchi alberi, nei lembi dei rami spezzati, nei tronchi in piedi e a terra in vari stadi di decadimento rappresenta il microambiente per oltre il 30% delle specie viventi in una foresta.

Il sottobosco distrutto (foto, Vincenzo Caminada)

L’importanza e l’utilità di questo elemento quale componente naturale dell’ecosistema è stata messa in luce particolarmente negli ultimi decenni dalla letteratura scientifica; è tuttavia utile notare il fatto che il legno morto non è una minaccia alla salute delle foreste, semmai un elemento di rafforzamento della stabilità ecologica. Il legno morto è dunque riconosciuto come un importante indicatore di biodiversità e ricchezza dell’ambiente forestale.

In base a queste conoscenze in varie foreste d’Europa si sono intraprese iniziative per il mantenimento e l’aumento della presenza di legno morto (addirittura con l’uso di micro cariche esplosive).

Anche in Italia sono iniziate da alcuni anni operazioni di questo genere; ne citiamo alcune.

Il progetto Life-Natura di Bosco della Fontana (Mantova) iniziato nel 1999. Con il progetto sono state sviluppate tecniche innovative per la creazione artificiale di legno morto: mediante alberi sradicati o alberi spezzati e per la trasformazione mediante invecchiamento precoce di alberi per trasformarli in veri e propri “condomini” provvisti di “alloggi” per uccelli e invertebrati demolitori del legno.

Nel bosco del Gerbasso (Torino), per la ricostituzione delle faune del legno morto sono stati posizionati in vari settori un buon numero di tronchi morti provenienti dalle alberate e dai parchi pubblici cittadini.

I trochi e i rami morti di Montorfano

Perciò i tronchi e i rami morti al suolo nel bosco di Montorfano avrebbero dovuto essere visti non come elementi di disordine, ma come fonti di vita per il bosco, parte del sapiente ordine della natura e lasciati indisturbati in loco.

Se la motivazione dell’intervento fosse stata quella di mettere in sicurezza il sito, non si capisce perché si siano rimossi alberi già caduti a terra, ovviamente non pericolosi e invece si sono trascurati gli alberi morti in piedi lungo il percorso di visita (due di essi stazionano da tempo in piedi a fianco del sentiero mettendo a rischio l’incolumità dei frequentatori).

Gli unici alberi di cui era giustificata la rimozione erano quelli caduti dalla sponda nel fiume.

C’è anche un discorso da fare sulla percorribilità del bosco.

Ovunque nei parchi e nelle oasi naturali è vietato uscire dai sentieri, allo scopo di salvaguardare da disturbi e danni la flora e la fauna. I tronchi e i rami caduti e la vegetazione del sottobosco distrutta erano un ottimo disincentivo alla inopportuna frequentazione del sottobosco, che avrebbe dovuto essere ulteriormente infittito per ostacolare il passaggio su sentieri spontanei creatisi col tempo e per costituire rifugio e alimento per la fauna selvatica, oltre ad intensificare la capacità di depurazione dell’aria e di mitigazione climatica dell’ecosistema.

Ora una parte consistente del bosco ha perso una delle caratteristiche tipiche e fondamentali delle aree naturali e non è più minimamente protetta da frequentazione inopportune e vandalismi. Questo a causa anche della distruzione di parte della siepe perimetrale protettiva di biancospini, rimossa per far entrare i mezzi meccanici.

Aggiungo con rammarico che i recenti lavori hanno distrutto anche una gran parte delle preziose specie di sottobosco (Taxus baccata, Ruscus aculeatus, Helleborus viridis) da me introdotte negli anni scorsi.

Il taglio delle edere sugli alberi

Altro danno assurdo e inaccettabile eseguito è stato il taglio delle edere sugli alberi (non tutte per fortuna).

L’edera comune (Hedera helix) è un arbusto rampicante che viene spesso distrutto, perché “accusato” di essere specie parassita che danneggia e degrada il bosco. È falso! L’edera svolge un ruolo ecologico di fondamentale importanza per l’equilibrio del bosco e per la fauna.

L’edera tagliata (foto, Vincenzo Caminada)

Sfatiamo un mito della scarsa conoscenza botanica e della cattiva gestione silvicolturale: l’edera non si nutre della linfa dell’albero, è un rampicante (come la vite) e ricerca nella pianta ospite solo il sostegno, un tutore cui avvolgersi.

Tagliare l’edera è sbagliato per numerose ragioni.

Eccole: 1) i suoi fiori sono di enorme importanza per le api che li visitano assiduamente «bottinandovi» grandi quantità di nettare e polline. Fiori ancor più apprezzati in quanto sono disponibili proprio in settembre-ottobre quando mancano altre fioriture. Secondo la Federazione apicoltori italiani, un ettaro coltivato ad edera (ammesso che ciò sia possibile) può fornire da 200 a 500 chilogrammi di miele ogni anno (fonte, Corriere della Sera, Fulco Pratesi); 2) la pianta offre rifugio a numerose specie di uccelli che di frequente vi nidificano; 3) le sue bacche sono consumate da diverse specie di uccelli (tordi, merli, storni…) che in determinate stagioni dell’anno si nutrono quasi esclusivamente dei suoi frutti. Sopprimendo l’edera viene meno un’indispensabile fonte trofica per l’avifauna e si determina un impoverimento drastico della fauna dei boschi; 4) funzione anti-inquinamento: la Nasa ha divulgato le caratteristiche di alcune piante con proprietà “fitodepurative” evidenti. Fra queste figura l’edera, che pare abbia dimostrato notevoli capacità. Secondo la Nasa assorbe il 90% del benzene e oltre il 10% del tricloroetilene, quindi possiamo senz’altro definirla “pianta anti-inquinamento”.

Dopo aver amaramente constatato il danno, uscendo dal bosco ho riguardato il nuovo cartello posto all’ingresso dove suona decisamente ironica la scritta “vietato danneggiare la vegetazione”.

Non mi interessa sapere chi sono i responsabili del misfatto, che sicuramente tenteranno di giustificare in qualche modo ciò che hanno fatto, ma se il nuovo andazzo di manutenzione dovrà continuare a prevedere operazioni di “pulizia” e “riordino” di questo genere, ritengo altamente opportuno togliere al bosco la denominazione di Oasi Wwf, per palese incompatibilità con le finalità di conservazione dello storico sodalizio protettore della natura.

In apertura, i tronchi tagliati (foto, Vincenzo Caminada)

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