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Di salami, caci e uova – 4a e ultima puntata

di Roberto Silvestri

Continua la nostra chiacchierata sugli allevamenti intensivi e sul consumo di prodotti di origine animale. Abbiamo scoperto che spesso, ma non sempre, portare questi alimenti sulla nostra tavola significa provocare danni ambientali, creare problemi sociali, maltrattare gli animali, e mettere a rischio la nostra salute, (le puntate precedenti le trovate qui, qui, e qui).

Quindi non dobbiamo più mangiare carne animale?

Torniamo ancora indietro nel tempo, nei dintorni dell’anno mille. Al-Ma’arri, poeta e letterato arabo e forse ispiratore della Divina Commedia, fu accusato di eresia perché, vegetariano, rifiutava parte dei doni che Dio, Allah in questo caso, aveva dato agli uomini. Per la cronaca, Al-Ma’arri fu assolto. Si garantì, in quell’occasione, il diritto al piacere alimentare, che passa anche attraverso il rispetto della propria visione del mondo, della propria religione e dell’etica individuale.

Senza arrivare al loro rifiuto, un approccio, a mio avviso corretto, sul consumo di alimenti di derivazione animale, è semplicemente quello di ridurlo e compiere una scelta ragionata e consapevole tra le numerose offerte che ci provengono dal mondo della produzione di cibo.

Al bando quindi carni, formaggi, uova che provengono da allevamenti intensivi e utilizzo responsabile degli altri. Dobbiamo trasformarci da consumatori in persone informate che compiono scelte conseguenti. Conoscere i problemi del mondo non basta per risolverli, la conquistata consapevolezza deve suggerirci coerenza: dunque acquistiamo carni, salumi, formaggi e uova da allevamenti sostenibili sia per l’ambiente sia per la società. Ancor meglio se acquistati nel nostro territorio.

Gregge a Tavazzano (fotografia di © Adriano Carafòli)

Abbiamo detto nella puntata precedente che il cibo ha un valore; non vi parlerò qui degli aspetti nutrizionali e salutistici ma del piacere.

Quando mi sono avvicinato con curiosità maggiore al tema del cibo e della gastronomia mi colpivano le dissertazioni di quelli che riconoscevano, con certezze assolute, la provenienza di vini e, ancor più, di formaggi: “Questa toma è dell’alpeggio T*** ”.

Queste cose, pensavo, lasciamole fare a Michele. Ricordate la pubblicità? Colore chiaro, gusto pulito … questo è Glen Grant. Insomma, mi sentivo come dire, un po’ preso in giro. Poi, per conto di Slow Food, ho seguito un progetto sul Bitto e di quel formaggio ne ho assaggiato parecchio, tanto che ora posso affermare con assoluta certezza che il mio preferito sarebbe quello dell’alpeggio di Trona Soliva (scrivo sarebbe poiché l’alpe, purtroppo, oggi non è più usata, non è più caricata). Mi spiegarono gli amici della casa del Bitto di Gerola Alta che lì e solo lì cresce un’erba che dà al formaggio queste caratteristiche. Lo so che vi sentirete perplessi come mi sentivo io qualche anno fa. È lecito e normale.

Ma se proviamo a passare da una valutazione certamente soggettiva ed empirica ad una scientifica forse riuscirò a farmi credere.

Il Dipartimento di Biotecnologie Agrarie dell’Università degli Studi di Firenze e la regione Toscana hanno condotto uno studio per valutare se l’alimentazione influisse sulla qualità organolettica (la bontà, la piacevolezza) delle carni di suini di Cinta Senese, razza che è allevata allo stato brado o semibrado. Sono stati messi a confronto allevamenti che nutrivano gli animali con mangime commerciale, oppure al pascolo su querceto o su castagneto.

Il risultato è stato inequivocabile, le analisi effettuate hanno riscontrato che nelle carni dei maiali allevati al pascolo in bosco, in particolare quello di querce, i livelli delle sostanze che ce le rendono più gustose sono maggiori.

Non si tratta quindi della mia personale valutazione ma di un’analisi condotta con criteri scientifici.

Mucche al pascolo a San Giuliano Milanese (fotografia di © Aldo Castelli)

Altro prerequisito per la qualità è il benessere animale: lo stress continuo di una vita vissuta nelle prigioni degli allevamenti intensivi e poi quello del trasporto per andare al macello producono adrenalina. Questa ha un impatto sulla carne, che risulterà pallida, molle, umida e poco saporita.

Oltre alla forma di allevamento (in stalla o allo stato brado) e all’alimentazione, la qualità nasce dalla razza degli animali. È diverso mangiare carni di vacche da latte “riformate” o quelle di una fassona di razza piemontese, di un maialetto industriale o di un suino di cinta senese.

Se la vostra dieta include prodotti di derivazione animale, scegliete quelli che provengono da bestie allevate sul nostro territorio in condizioni di benessere. Magari prima passate in cascina a vedere come vengono curate. Alcune di queste cascine sono a pochi passi da noi.

Ripeto, riduciamo i consumi di questi cibi e soprattutto mangiamo quelli di animali che hanno vissuto una vita felice!

Come premio per avermi seguito fin qui vi allego il link ad un filmato di Slow Food Mantova su un allevamento di maiali felici.

Guarda il video!

Immagine di copertina: foto di Benjamin Balazs da Pixabay.it

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